Terremoti: scienza e tecnologia per la difesa dei centri storici

Lo scorso 17 settembre, nella Sala Consiliare del Comune di Boville Ernica, si è svolto un incontro organizzato dal Circolo Legambiente Lamasena, nell’ambito della giornata “Boville per Amatrice”, coordinata dalla Proloco, dal titolo “Terremoti: scienza e tecnologia per la difesa dei centri storici”.

Al convegno, che ha visto una nutrita partecipazione, hanno preso parte il geologo Emiliano Cinelli, esperto di microzonazione sismica, l’ingegnere Morgan Reali, esperto di edilizia antisimica ed il geologo Riccardo Viselli, del circolo Lamasena nonché curatore di un sito internet di informazione sul tema dei terremoti e del rischio sismico.

Gli interventi, accurati ed animati dallo spirito di fornire una informazione scientifica, nello stile che contraddistingue l’associazione ambientalista, hanno innanzitutto evidenziato che l’unica difesa possibile dal rischio terremoto è rappresentata dalle attività di prevenzione, essendo al momento rivelatosi infruttuoso ogni tentativo, condotto perlopiù negli Stati Uniti d’America ed in Cina, di prevedere con la necessaria accuratezza, un evento sismico.

Viselli ha evidenziato che, nel cosiddetto triangolo della previsione di un determinato evento, due importanti temi sono comunque stati risolti: grazie a decenni di ricerche, siamo in grado di definire dove avverrà un terremoto (ed infatti il nostro territorio è stato suddiviso in zone sismiche e zone asismiche) e come questo si manifesterà in termini di accelerazioni cui sottoporrà il terreno (grazie alle tecniche di microzonazione sismica e di risposta sismica locale). Rimane, come detto, irrisolto il terzo tema: appare infatti impossibile prevedere il momento esatto di un terremoto (figura 1).

Figura 1 – Il triangolo della previsione

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Viselli ha altresì evidenziato che, d’altronde, le conoscenze legate al dove si verificherà un terremoto e con quali modalità sono più che sufficienti per pianificare le opportune misure di prevenzione.

Si è poi soffermato sulla descrizione degli eventi sismici con i quali il nostro territorio si dovrà confrontare: in un’area piuttosto ristretta intorno alla Ciociaria, infatti, nel passato si sono verificati diversi terremoti caratterizzati da magnitudo importante, dal più antico registrato a Poggio Mirteto (RI) nel 174 A.C. al più recente e notissimo evento de L’Aquila del 2009 (figura 2).

Figura 2 – Elenco dei terremoti più energetici

che hanno interessato storicamente il nostro territorio

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Cinelli ha approfondito il tema della microzonazione sismica: il primo passo da compiere per attuare efficaci strategie di prevenzione è conoscere a fondo il nostro territorio, alla scala adatta per poter essere utili ai fini della pianificazione urbanistica e della ingegneria antisismica.

Ha innanzitutto chiarito alcuni termini utili per inquadrare il problema: il “rischio sismico” consiste nella misura dei danni attesi in un dato intervallo di tempo, in base al tipo di sismicità, espressa tramite la “Pericolosità Sismica”, di resistenza delle costruzioni, espressa tramite la “Vulnerabilità” e di antropizzazione, espressa tramite l’Esposizione. In altre parole, un territorio ad elevata pericolosità sismica (perché in esso sono attesi terremoti importanti), ma con bassa o nulla vulnerabilità (edifici perfettamente costruiti) o esposizione (assenza di edifici) avrà un rischio sismico bassissimo o pari a zero (figura 3)

Figura 3 – In un deserto, anche se sono attesi terremoti importanti, il rischio sismico è pari a zero

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Quindi si è soffermato sull’utilità della microzonazione sismica evidenziando che i danni prodotti da un terremoto potranno essere notevolmente diversi anche a distanza di poche decine di metri, per effetto di situazioni locali (figura 4) che modificano in ampiezza o in frequenza il moto sismico. Ha ben chiarito come la microzonazione sismica sia l’insieme di una serie di attività che studiano questi fenomeni locali con l’obiettivo finale di realizzare la carta della microzonazione sismica in cui un determinato territorio comunale verrà suddiviso in aree omogenee dal punto di vista della risposta sismica: a ciascuna area verrà quindi assegnato un fattore amplificativo del moto (figura 5).

Figura 4 – Effetti locali che possono amplificare il segnale sismico

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Figura 5 – Stralcio della carta della microzonazione sismica del comune di Monte San Giovanni C.

figura 5.png

Generalmente, il territorio verrà suddiviso in tre tipologie di aree:

  1. Zone Stabili nelle quali non si ipotizzano effetti locali di rilievo di alcuna natura ed in cui il moto sismico non è modificato rispetto a quello atteso in condizioni ideali di roccia rigida e pianeggiante;
  2. Zone Stabili suscettibili di amplificazione sismica, in cui il moto sismico è modificato rispetto a quello atteso in condizioni ideali di suolo, a causa delle caratteristiche litostratigrafiche del terreno e/o geomorfologiche del territorio;
  3. Zone suscettibili di Instabilità, in cui i terreni sono suscettibili di attivazione di fenomeni di deformazione permanente del territorio a seguito di un evento sismico (instabilità di versante, cedimenti, liquefazioni, faglie attive e/o capaci).

 

La carta della microzonazione sismica dovrà essere utilizzata per la pianificazione territoriale ed urbanistica, per la progettazione del piano di protezione civile e per la programmazione delle attività di prevenzione

E’ quindi passato alla descrizione del secondo step della conoscenza geologica, ai fini della prevenzione sismica: quello della definizione della Risposta Simica Locale (RSL), applicabile alle progettazioni esecutive.

L’ingenere Morgan Reali ha dettagliatamente chiarito che volendo ridurre il rischio solo nelle zone a pericolosità sismica più elevata (Zone 1 e 2), ci si dovrebbe occupare del 36% dei Comuni (2908 Comuni) e del 41% della popolazione (circa 25 milioni di persone). Volendo ulteriormente contenere l’entità dell’intervento (pur restando nei limiti già precisati) ci si potrebbe limitare ad intervenire alle sole unità abitative effettivamente utilizzate ossia 5.903.342 (5.253.543 destinate ad uso residenziale e 649.799 destinate ad altri usi) 2.940.737 delle quali costruite prima del 1970 (2.856.816 di unità sono in muratura, 1.777.196 sono in c.a., 619.531 sono in altri materiali).

E’ poi passato ad illustrare che il rischio sismico si valuta (prescindendo dall’esposizione) incrociando la pericolosità sismica del sito in cui sorge la costruzione con la vulnerabilità sismica della costruzione stessa. Ha evidenziato che, a meno di delocalizzare gli abitanti, la pericolosità sismica non è suscettibile di interventi da parte nostra; ridurre il rischio sismico, dunque, significa ridurre la vulnerabilità sismica delle costruzioni. Ha fatto poi rilevare come su quale sia la reale entità delle cifre da mobilizzare non esiste chiarezza ma, operando nei limiti sopra prefigurati e per un ventennio, si potrebbe ragionevolmente ipotizzare che si dovranno mobilizzare tra i cinque e i 10 miliardi di euro l’anno.

Si è poi giustamente soffermato sul fatto, però, che non esista una soluzione unica applicabile a tutti gli edifici sopra richiamati: ogni struttura andrebbe accuratamente studiata al fine di diagnosticare la situazione e programmare i necessari ed adeguati interventi in funzione della risposta sismica determinata in base alle attività di conoscenza del territorio descritte dal geologo Cinelli. Pensare di intervenire con una sorta di “lista degli interventi da attuare” potrebbe risultare inutile ed altresì dannoso in termini economici.

In conclusione è emerso come i rischi naturali possono essere mitigati attraverso azioni preventive da parte delle Amministrazioni. Attendere un evento sismico per intervenire in fase di emergenza aumenta esponenzialmente il costo di gestione degli interventi e delle successive ricostruzioni. Al contrario, agire in modo preventivo riduce i costi di gestione in fase di emergenza, poiché molte delle azioni di mitigazione del rischio riducono alla fonte il loro “peso” economico e sociale sull’ambiente e sulla popolazione

 

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