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Ripartire dopo il covid-19

Come ripartire dopo la prova sociale ed emotiva a cui  ha sottoposto il covid-19?

L’associazione traccia gli obiettivi della nuova ripartenza che dovrà far leva sulla consapevolezza della fragilità e vulnerabilità dell’uomo.

L’esperienza covid-19 lascia in eredità il bisogno di un ripensamento del modello economico e sociale; ciò richiederà essere maggiormente autonomi rispetto ai prodotti offerti dai mercati globali e, per fare questo, diventerà importante recuperare attitudini nell’artigianato, nell’agricoltura, nelle scienze e nella tecnologia.

All’interno della sede Lamasena di Scifelli, negli ampi spazi all’aperto, diventerà prioritario sperimentare e accelerare sulle direttrici che fanno parte già del bagaglio esperenziale dell’associazione. La sede operativa di Scifelli dovrà e potrà diventare un centro in cui sviluppare ed accrescere le nuove attitudini ispirandosi al green deal europeo.

Quattro proposte concrete e fattibili:

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Dibattito sull’inquinamento ambientale presso il liceo di Veroli

GSulpicioIl 22 maggio 2015, l’associazione Lamasena è stata invitata,  dai docenti del Liceo G. Sulpicio di Veroli,  per illustrare le principali tematiche sull’inquinamento nella provincia di Frosinone.

L’opportunità ha permesso di raccogliere le esperienze e conoscenze acquisite in questi anni e, quindi, condividerle con gli studenti del Liceo che presentavano, nell’occasione, i risultati del loro progetto sull’inquinamento della Terra.

Il dibattito è partito dall’illustrazione del quadro generale sulle criticità ambientali  con riferimento a quanto sta avvenendo sul cogente tema dell’immigrazione.  Gli ingressi di migliaia di profughi che premono alle nostre frontiere nasce dal disperato bisogno di allontanarsi dalle loro terre colpite da guerre e desertificazione. Al di là degli luoghi comuni e delle strumentalizzazioni, il fenomeno ha le sembianze di una vera migrazione biblica. Tali migranti possono essere definiti, senza troppi margini d’errore, profughi ambientali che fuggono da terre divenute inospitali in cui, proprio per tale ragione, sono oggetto di contese territoriali per l’accaparramento dell’acqua e delle poche aree ancora fertili.

Ciò che sta accadendo oggi sull’ecosistema della terra fu predetto dagli scienziati del club di Roma nel 1972. Quegli studiosi misero insieme le loro simulazioni sul clima ed ipotizzarono cosa sarebbe successo alla nostra biosfera se avessimo continuato ad immettere CO2 nell’ambiente o incrementato la nostra impronta ecologica. In quegli anni ci fu la prima grande crisi petrolifera e si cominciò a riflettere seriamente sui limiti dello sviluppo, ossia, essi osservarono che il modello economico basato sulla crescita infinita era intrinsecamente sbagliato ed asserirono una ovvietà che gli uomini non comprendono appieno, ossia non si può crescere in modo infinito in un mondo finito.

L’allora presidente Jimmy Carter prese molto in considerazione il lavoro svolto dal club di Roma e cominciò ad adottare misure legislative per salvaguardare l’ambiente. Fu lui che installo le prime celle fotovoltaiche sul tetto del Casa Bianca.

Quelle raccomandazioni, purtroppo, sono state riposte nel cassetto per 40 anni dai successivi presidenti ed oggi ci troviamo ad un passo dal punto di non ritorno. I livelli di CO2 nell’atmosfera stanno innescando fenomeni  irreversibili  legati al riscaldamento globale.

Gli scienziati stimano che l’equilibrio climatico è di 350 ppm  (parti per milione) di CO2 nell’atmosfera. Dall’ultima rilevazione di marzo 2015, il livello di CO2 è arrivato a 400 ppm e, nonostante ciò, non ci sono segnali da parte degli stati per invertire la rotta di collisione in cui stiamo conducendo il nostro pianeta.

Sull’inquinamento in Ciociaria si hanno due criticità importanti. La prima riguarda il primato negativo sul livello di PM10 presente a Frosinone. Nel 2014 la nostra città capoluogo si è rivelata la città più inquinata d’Italia con 57 giorni di superamento del limite di 50 µg di PM10 per metro cubo.

L’altra criticità ambientale è l’inquinamento della Valle del Sacco. Tale problema è dovuto a una stratificazione di inquinanti che indusse le autorità sanitarie a classificare, nel 2005, la valle come   SIN (Sito d’Interesse Nazionale). Tale classificazione avrebbe garantito adeguati finanziamenti per la bonifica se non fosse intervenuto, nel 2013, l’ex ministro Corrado Clini che, per ragioni legate a tagli sulla finanza pubblica, ha declassato la valle nonostante essa resti un’area ad alta criticità privandola – quindi – di quelle risorse finanziare necessarie per la sua bonifica.

Il principale inquinante della valle è la molecola denominata betaesaclorocicloesano o BETA-HCH. La molecola è un residuo tossico nella preparazione dei diserbanti prodotti per anni dalle industrie chimiche del distretto industriale di Colleferro.

L’effetto della molecola Beta-Hch sul corpo umano è molteplice. Sicuramente interferisce nelle funzioni di neurotrasmissione ed attacca il sistema nervoso, il fegato e i reni. Purtroppo, circa il 50% della popolazione che abita in adiacenza al fiume è stata contaminata dalla molecola.

Il problema dell’inquinamento della valle esplose, nella sua deflagrazione mediatica, il 19 luglio 2005, data in cui le cronache riportano la notizie di 25 mucche morte dopo essersi abbeverate nel rio Mola Santa Maria, un affluente del fiume Sacco. Da quella fatidica data, iniziarono febbrili campionamenti delle acque e dei terreni che portarono alla scoperta della contaminazione di tutta la catena alimentare da parte del Beta-HCH.

A scopo precauzionale, furono abbattuti circa 7000 capi di bestiame. Tale decisione, al di là della sua dubbia validità in termini di profilassi sanitaria, si è rivelata un boomerang economico per tutte le aziende agricole dell’intera valle del Sacco.

La giornata di dibattito ha fatto prendere coscienza del dramma dell’inquinamento che viviamo. Alcuni dati, riportati nel convegno, ne certificano la cifra: l’acciaieria ILVA di Taranto, dal 2005 al 2010, ha causato la morte di circa 90 persone l’anno; a Brescia è in atto un aumento del 20% dei tumori infantili (da 0 a 14 anni) rispetto agli anni cinquanta per la presenza di diossina e PCB nel sangue; a Casal Monferrato si muore per Mesotelioma Pleurico con l’inalazione di fibre di amianto. Complessivamente, tale tumore provoca 4000 morti l’anno in tutta Italia.

Solo in lontananza, si intravede qualche flebile segnale di speranza rispetto allo scenario descritto. Tra questi si annovera l’approvazione della nuova legge degli ecoreati, votata in senato il 19 maggio scorso. Una legge attesa da 21 anni e sollecitata da associazioni e cittadini. Una vittoria storica che permetterà di far condannare chi attenta alla vita delle persone con l’abbandono di rifiuti tossici nelle acque e nei terreni. E’ questo un lieto  evento che ricade nei giorni del 35° compleanno di Legambiente che, in tutti questi anni, è stata sempre in prima linea nel chiedere norme a difesa dell’ambiente

Remo Cinelli

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Quando i paesi avanzati giocano a fare i trogloditi

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Da tempo immemore si sa che in Canada ogni anno ha luogo la strage delle foche (275.000 foche uccise ogni anno), un massacro barbarico che avviene nei territori dell’artico. Le foche vengono bastonate e in gran parte scuoiate vive, per trarne profitto economico. Infatti di questa pratica vivono da sempre le popolazioni indigene del  Nunavut, regione dell’estremo nord del Canada, chiamate Inuik.

Fortunatamente i social media hanno acceso i riflettori su questa pratica brutale e gli animalisti e gli ambientalisti di tutto il mondo sono inorriditi a tal punto da spingere la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (ed anche gli USA) a vietare il commercio di prodotti derivati dalle foche, tra cui olio, grasso, carne e pellame.

Questa decisione ha scatenato le furie dei canadesi, primi fra tutti Leona Aglukkaq, deputato al parlamento canadese nelle schiere del Partito Conservatore, ministro regionale per il Canada Settentionale, di etnia inuk, che nel 2008 era ministro della Salute e (ancor più grave)  dal 2013 è ministro dell’Ambiente.

Il ministro ha condannato senza mezzi termini la decisione del tribunale europeo sostenendo che il divieto posto sui prodotti derivati dalle foche, adottato nell’Unione Europea è una decisione politica priva di fondamento reale o scientifico sostenibile.

In un’interrogazione internazionale supportata da molte autorità del governo canadese, le popolazioni inuit sostengono che la loro continua mattanza sia necessaria per guadagnarsi da vivere.

Se il Canada non tollera che altre nazioni si permettano di giudicare il discutibile operato delle proprie tribù in merito alla mattanza delle foche, per quale motivo noi dovremmo tollerare addirittura che proprio loro vengano a decidere in casa nostra cosa dobbiamo importare e cosa no?

Nessuno mette in dubbio il fatto che questa attività sia importante per le popolazioni dell’artico canadese, perchè è un’antichissima tradizione e perche non hanno altra forma di reddito proprio di questi tempi in cui la vita diventa sempre cara.

Passi quindi anche il messaggio sbagliato che il reddito umano sia più importante della vita di centinaia di migliaia di animali, ma non capisco perchè l’Unione Europea debba provvedere al sostentamento di queste popolazioni.

Ci pensi magari il Canada a farlo, creando nuovi posti di lavoro o, se non è in grado di trovare un mercato per queste industrie, magari acquistando le pelli delle foche che vengono trucidate.

Noi non le vogliamo. Non ci stiamo!

PENSIAMO GLOBALMENTE,
AGIAMO LOCALMENTE!

PER APPROFONDIRE

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© Questo articolo, denominato “Quando i paesi avanzati giocano a fare i trogloditi” di Giovanni Gasparri  è fornito integralmente sotto licenza internazionale Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0.

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Data di Pubblicazione  3 Febbraio 2014
Ultima Revisione: 3 Febbraio 2014
Autori: Giovanni Gasparri

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L’Italia sotto la lente dei Canadesi

È di qualche giorno fa la notizia che il Ministero degli Esteri Canadese avrebbe pubblicato sul proprio sito web governativo un avviso raccapricciante rivolto ai cittadini canadesi intenzionati a visitare l’Italia.

Secondo il governo di Ottawa i canadesi in vacanza nel bel paese rischierebbero truffe, borseggi ed addirittura la vita a causa di possibili bombe.

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Probabilmente qualche funzionario si sarà imbattuto in una fotografia delle nostre strade ed avrà pensato che quei crateri potessero essere gli effetti devastanti di un qualche bombardamento aereo o di mine anticarro.

Tutto normale invece!

Si tratta chiaramente di un grande scivolone diplomatico che denota però con quanto pregiudizio, superficialità e superbia gli enti governativi lavorino in Canada. La notizia si è diffusa rapidamente ed è bastata per scatenare l’ira e lo sdegno dell’intera comunità italiana in Canada.

Primi fra tutti l’Ambasciatore d’Italia, Gian Lorenzo Cornado, che avrebbe inviato una missiva di protesta al Governo Harper ed il Corriere Canadese, quotidiano in lingua italiana, che ha dedicato la prima pagina dell’edizione del 30 Gennaio 2014 all’accaduto.

Insomma, magari non è proprio sicuro girare in alcune città italiane con un vistoso orologio d’oro al polso, ma posso senza dubbio affermare che è molto più pericoloso vivere in alcune zone del Canada. Io ad esempio vivo da quasi un anno a Jane and Finch, famigerato quartiere di Toronto, e in questo breve lasso di tempo sono capitato per strada sulla scena di diverse sparatorie ed omicidi, cose a cui in Italia non ho mai avuto modo di assistere fortunatamente.

Le scuse formali da parte del governo canadese sembrerebbero tardare ad arrivare, e secondo alcuni non sono dovute perchè la faccenda è stata gonfiata dai media per trarne profitto economico. Di sicuro le ripercussioni sull’economia e sul turismo potrebbero non essere positive. Gli operatori di commercio elettronico italiani infatti si trovano già in difficoltà per acquisire credibilità sui mercati esteri, dove gli acquirenti pensano ancora allo stereotipo dell’Italia = mafia + truffe.

Per fortuna che per contrastare questo terrorismo della disinformazione ci sono tante associazioni in Italia che stanno portando avanti progetti per promuovere la Cultura Italiana all’estero.

Una di queste è proprio il Circolo Legambiente “LAMASENA” che si è fatto portavoce per istituire a Toronto una biblioteca permanente sulla cultura, le tradizioni e la natura della Ciociaria (nello specifico relativamente alle zone bagnate dal torrente l’Amasena).

La Toronto Public Library ha rifiutato la donazione da parte dell’associazione di una selezione di rari e preziosi libri in Italiano sul tema, sostenendo che l’argomento non rientra tra quelli di interesse degli utilizzatori locali, più attratti probabilmente da libri di fantascienza e best seller.

Tuttavia lo scambio culturale ci sarà ugualmente, grazie alla massiccia presenza sul territorio dell’Ontario di associazioni culturali ciociare, che sicuramente saranno ben felici di sposare il progetto e rafforzare i legami con la propria terra d’origine.

PER APPROFONDIRE

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© Questo articolo, denominato “L’Italia sotto la lente dei Canadesi” di Giovanni Gasparri  è fornito integralmente sotto licenza internazionale Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0.

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Data di Pubblicazione  2 Febbraio 2014

Ultima Revisione: 3 Febbraio 2014

Autori: Giovanni Gasparri

Fotografia: Silvio Furesi

Prima di stampare questa pagina considera l’impatto che avrà sull’ambiente