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Monte Castello , presso Santa Francesca Romana

Nel novembre 2010, una campagna di ricognizioni di superficie condotta dal dott. Achille Lamesi sul sito di Monte Castello, pochi chilometri a nord di S. Francesca frazione del Comune di Veroli (FR), portò al rinvenimento di un’ascia e una punta di freccia in bronzo attribuibili all’età del Bronzo medio (Fig. 01).

Fig. 01 – L’ascia e la punta di freccia in bronzo da Monte Castello, Veroli (FR)

Le ricognizioni, effettuate nell’ambito delle ricerche sul territorio intraprese dal Lamesi e confluite in una monografia a sua firma pubblicata nel 2011 (A. Lamesi, Veroli in agro. Pozzi, sorgenti, ricoveri agro-pastorali, boscaioli, carbonai, neviere e transumanza, Introduzione di E. M. Beranger, Veroli 2011), portarono altresì all’individuazione sul sito di Monte Castello di un probabile abitato d’altura fortificato databile orientativamente tra il Bronzo antico e medio.

L’ascia e la punta di freccia, consegnate nelle mani del sindaco di Veroli prof. Giuseppe D’Onorio e del segretario comunale dott. Lucio Pasqualitto e tuttora esposte nel Museo Archeologico Comunale di Veroli, sono state oggetto di uno studio preliminare da parte di Eugenio Maria Beranger e di Achille Lamesi pubblicato in un opuscolo di carattere locale nel 2012 (E. M. Beranger – A. Lamesi, Un’ascia di bronzo rinvenuta a Monte Castello in Veroli), che ha permesso di inquadrare i due manufatti in un orizzonte cronologico riferibile ad una fase non troppo avanzata del Bronzo medio, fornendo soprattutto per l’ascia convincenti confronti con simili rinvenimenti laziali. In particolare, l’ascia troverebbe puntuali confronti con il tipo a margini fortemente rialzati e tallone dritto caratterizzato da incavo appena annunciato con piccolo occhiello, identificato per un gruppo di sette elementi da una grotta di Canterano (Roma), poi trasferite al Museo Preistorico Luigi Pigorini di Roma, e per un secondo gruppo dall’area albana (dieci asce dal Villaggio delle Macine del Lago di Albano e due da Nemi).

Oltre che per la rarità intrinseca costituita dalla tipologia dei reperti descritti, sono le circostanze del rinvenimento che ne costituiscono il precipuo carattere di eccezionalità: a differenza della assoluta maggioranza delle altre asce provenienti da centri laziali, di cui si ignora il contesto preciso del ritrovamento, i materiali in oggetto provengono da depositi che possono costituirsi intatti o comunque a basso grado di interferenza da parte di attività antropiche recenti (Fig. 02).

Fig. 02 – Il sito di Monte Castello, foto aerea

Il sito di Monte Castello infatti, un falsopiano di forma troncoconica che raggiunge un’altezza massima m 1018 s.l.m., non lontano dai siti dell’età del Bronzo di Veroli – Monte San Leonardo, Sora – Monte San Casto e Monte San Giovanni Campano – Monte Castellone/Monte Cornito,risulta completamente disabitato e privo di costruzioni moderne nella parte sommitale; qui il rilievo vede al proprio interno un’area rialzata in posizione centrale caratterizzata da porzioni emergenti del sostrato geologico in calcare litoide e massi non squadrati disposti in forme circolari o ovali. Queste forme, che vanno da un diametro minimo di m 2 ad un massimo di 5, sembrano corrispondere alle basi di sei costruzioni, identificabili presumibilmente in capanne lignee (Fig. 03).

Fig. 03 – Area centrale, impronte circolari e ovali

La stessa area sommitale, ben difesa sui lati nord e sud da pareti a strapiombo, risulta circoscritta sui versanti est e ovest da due linee di massi in gran parte crollati, forse corrispondenti originariamente a mura in opera poligonale; presso l’angolo nordovest, invece, una depressione carsica di forma circolare (diametro circa m 14, profondità massima m 3,50) le cui pareti sembrano a tratti rinforzate da massi sovrapposti, è stata interpretata come probabile neviera (Fig. 04);

Fig. 04 – La probabile neviera

presso l’angolo nordest, infine, un rialzo del banco calcareo sembra essere stato

oggetto di operazioni di spianamento e lavorazioni che lo hanno reso atto a costituire un punto di controllo, capace di completa visibilità verso le valli del torrente Amaseno e di Capodacqua. Si segnalano altresì, rispettivamente

Fig. 05 – Il masso rialzato

presso l’angolo nordovest e la porzione centrale del falsopiano, la presenza di un masso di notevoli dimensioni e di forma parallelepipeda (peso stimato circa 12 quintali) che risulta staccato dal livello attuale del terreno di circa 20 centimetri attraverso quattro piccoli massi disposti presso gli angoli della faccia inferiore del masso stesso (Fig. 05) e una pietra calcarea di medie dimensioni (lungh. cm 45, largh. cm 25, h cm 20) con segni di lavorazione che farebbero pensare ad un utilizzo quale rudimentale macina (Fig. 06).

Fig. 06 – La pietra utensile (probabile macina a mano)

 

Le ricognizioni sul falsopiano e alla base degli strapiombi sui lati nord e sud dello stesso hanno portato al rinvenimento di un buon numero di frammenti vascolari in impasto riferibili a contenitori di uso domestico e un frammento di ossidiana di forma lanceolata con un margine tagliente, forse utilizzata come strumento di taglio (Fig. 07).

Fig. 07 – Frammenti ceramici da Monte Castello

Monte Castello dunque, alla luce dei materiali rinvenuti e delle emergenze riscontrabili al suo interno (già ben intuibili pur in assenza di attività di scavo), ed in ragione della relativa assenza di antropizzazione recente, sembra configurarsi come sito di eccezionale e rara potenzialità per la ricerca archeologica sulle dinamiche antropiche dell’età del Bronzo nel territorio laziale.

Per la relativa vicinanza alla compagine urbana di Veroli e ad aree servite da viabilità in buono stato manutentivo, la potenzialità archeologica del sito si accompagna ad una spiccata propensione alla fruibilità, incentivabile in primo luogo attraverso la costituzione di percorsi attrezzati di valore archeologico-naturalistico; l’attività di fruizione e di frequentazione guidata potrebbe infine immaginarsi sviluppata in pieno parallelismo con le attività di indagine archeologica, coniugando così in modo efficace e virtuoso ricerca scientifica, coinvolgimento attivo della popolazione e promozione turistica del territorio.

In particolare, in via del tutto preliminare, si potrebbe immaginare un piano programmato che coniughi attività di indagine topografico-archeologica e fruizione turistica:

  • Progetto di ricognizioni archeologiche e indagini archeologiche stratigrafiche sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologia del Lazio e dell’Etruria Meridionale (di seguito SALEM), condotte attraverso apposita convenzione da stipulare tra Comune di Veroli, SALEM e Università (da definire, contatti con Sapienza Università di Roma e Università degli Studi di Cassino) e seguite da professionista archeologo o team di professionisti (archeologi stratigrafi, topografi, esperti ceramologi, specialisti per l’età del Bronzo).

  • Progetto per percorso turistico attrezzato di carattere naturalistico-archeologico, mirato alla fruizione del sito in generale ma anche alla visita (guidata) al cantiere archeologico durante le campagne di scavo. Il percorso dovrà prevedere aree sosta attrezzate e fornite di pannelli esplicativi di carattere naturalistico (geologia dei luoghi, flora e fauna locale), topografico e archeologico.

  • Progetto didattico rivolto alle scuole del territorio: visite guidate e laboratori di archeologia sperimentale (scavo stratigrafico, topografia e strumenti cartografici, ceramologia, restauro, numismatica, simulazioni pratiche su usi e vita quotidiana nell’antichità) condotti da guide turistiche e archeologi professionisti.

  • Creazione di un polo attrattivo turistico che coinvolga esercizi commerciali locali per la promozione dei prodotti locali (stand temporanei e, in prospettiva, fissi), punti di informazione turistica, punto ristoro, locali per la didattica e laboratori per archeologia sperimentale (cfr. punto precedente).

Dott. Sergio Del Ferro
Archeologo

Ascia di bronzo rinvenuta a Monte Castello

Siamo particolarmente felici di rendere noto un significativo ritrovamento archeologico, avvenuto a novembre del 2010 durante una ricerca di superficie condotta da Achille Lamesi sul Monte Castello (oggi più noto come La Croce), località della frazione di Santa Francesca di Veroli (FR). Si tratta di un’ascia di bronzo con margini fortemente rialzati, tallone diritto non distinto dal resto caratterizzato da un incavo appena annunciato con piccolo occhiello. Essa è alta cm 11,8, larga nel tallone cm 5, e all’occhiello cm 2, pesa gr 198 e la sua lama si caratterizza per i margini alquanto concavi. Essa è stata opportunamente consegnata, assieme ad una punta di freccia in bronzo proveniente dallo stesso sito, nelle mani del sindaco di Veroli prof. Giuseppe D’Onorio e del segretario comunale dr. Lucio Pasqualitto: I due reperti sono ora esposti nel Museo Archeologico Counale. Una citazione del ritrovamento è stata inserita nel capitolo dedicato ai ricoveri agro-pastorali del volume di Achille Lamesi, Veroli in Agro stampato nel giugno del 2011 dal Comune di Veroli, in quanto avvenuta durante lo studio del territorio per la realizzazione del volume.

Si tratta di un reperto non frequente nella Provincia di Frosinone come dimostrano i ritrovamenti, quasi tutti occasionali, finora noti. Due asce, rispettivamente del tipo ad alette e del tipo a cannone, tornarono alla luce, in un luogo imprecisato, dell’agro di Atina nel secolo XIX. Recenti studi hanno inquadrato i due esemplari al secondo-terzo quarto dell’VIII a.C. Un’ascia sempre in bronzo ma riferibile alle prime fasi del Bronzo Medio è stata restituita dalla contrada Campolarino (Monte San Giovanni Campano) ma se ne ignora il contesto di ritrovamento. Da un contesto tombale esplorato all’inizio del secolo scorso si deve il recupero dell’esemplare di Sgurgola.

Sempre da ritrovamenti casuali provengono i due esemplari di Pontecorvo: un’ascia ad occhio e una ad alette entrambe facenti parte di un piccolo deposito recuperato in località Santa Lucia all’interno di un “grande dolio contenente quindici frammenti di pani di bronzo, un lingottino di piombo”. Tale ritrovamento è riconducibile ad un ripostiglio risalente ad una fase avanzata del Bronzo finale.

Al Bronzo medio risalgono l’esemplare rinvenuto a Castro dei Volsci (località Monte Campo Lupino) ed a Pastena (Grotta del Pertuso) con datazione al Bronzo medio.

L’esemplare in questa sede presentato trova attendibili confronti con un gruppo di sette asce da Canterano (Roma), poi trasferite al Museo Preistorico Luigi Pigorini, rinvenuto in grotta e con un secondo gruppo di dieci asce proveniente dal Lago di Albano e con due asce rinvenute a Nemi ed inquadrabili in un momento non molto avanzato del Bronzo medio.

La produzione delle asce, come è noto, rappresenta un momento significativo della metallurgia protostorica, dal momento che il suo inizio segna la nascita della stessa metallurgia.

In via del tutto ipotetica si può ritenere che l’ascia in questione, dato il suo buono stato di conservazione, non sia appartenuta ad un ripostiglio di un fonditore (di solito esso è costituito da frammenti bronzei di vario tipo, generalmente alquanto usurati) ma abbia fatto parte di un accumulo di metallo predisposto dal proprietario per motivi economici. In via del tutto ipotetica non va esclusa neppure una sua formazione per motivazioni di carattere religioso. L’accantonamento del prezioso metallo ha la sua naturale spiegazione nel fatto che sui Monti Ernici non sono attestati, al momento, luoghi di approvvigionamento di rame e stagno indispensabili per ottenere il bronzo.

Mi sembra abbastanza significativo osservare come Monte Castello posto ad un’altezza di m. 1018 s.l.m., non sia molto lontano da Monte Castellone (denominazione da correggere in Monte Cornito secondo le ricerche del Lamesi) dove sono noti ritrovamenti ceramici dell’età del Bronzo medio 1-3 e dove la presenza di un ugello e di un crogiuolo sembra comprovare l’esistenza di attività artigianali legate alla lavorazione dei metalli oltre che ad attività connesse con l’agricoltura, la pastorizia e la filatura.

A Veroli è attestato un altro insediamento dell’Età del Bronzo (Monte San Leonardo) mentre frammenti vascolari riconducibili allo stesso periodo sono noti a Sora da Monte San Casto.

Prima di concludere mi sembra doveroso accennare come l’insediamento di Monte Castello fosse protetto da una difesa in opera poligonale in gran parte crollata posta nei lati ad Est ed Ovest del falsopiano e protetto a Nord e Sud da alte rocce a strapiombo. Il falsopiano ha forma troncoconica, il lato ad Est misura circa m 105, quello di Ovest circa m 55 e da est a ovest circa m 130. Al centro è presente un rialzo che corre per quasi tutta la lunghezza; su di esso un’attenta ricognizione dei massi allineati disposti circolarmente, identifica sei strutture. Una di forma circolare con un diametro interno di m 4, cinque di forma ovale di cui tre con diametro maggiore di m 5 e minore m 3, una quarta di m 4 per m 3, e la quinta di m 3 per m 2. Alcune di esse sfruttano rocce naturali che risultano incluse nel muro di base insieme a massi non squadrati. Probabilmente rappresentano le basi di antiche costruzioni, su cui si alzava la copertura lignea costituita da pali e chiusa con materiale vegetale.

In prossimità degli strapiombi della parete Nord è presente un avvallamento che nell’angolo di Nord-Ovest culmina in una grossa depressione circolare di probabile natura carsica, avente forma troncoconica, profonda m 3,50 e con diametro misurato nel piano interno di m 14. Da un’attenta osservazione si nota che le pareti, in alcuni tratti sfruttano rocce naturali e in parte sono costituite da grossi massi sovrapposti. Da ricognizioni svolte anche dopo le nevicate, si rinviene al suo interno abbondante strato di neve che persiste per lungo tempo grazie alla sua esposizione, pertanto si ipotizza che fosse usata come neviera, per far fronte alla disponibilità di acqua indispensabile per i pastori che frequentavano l’area.

Nell’angolo di Nord-Est è presente un rialzo roccioso che rappresenta il punto più in alto del falsopiano, presenta una superficie piana, di circa m 7 di diametro, in cui si apprezza un bordo di forma semicircolare, appartenente allo stesso banco di roccia, di circa cm 40 di altezza, e dalla larghezza di circa cm 40, lungo circa m 3, con la faccia superiore spianata. Il sito offre una completa visuale sulle valli di Capodacqua e del Rio Amaseno ernico, su una parte delle mura difensive del lato nord-est e sul falsopiano.

Sugli strapiombi prossimi alla grande depressione, è collocato un grande blocco calcare; nonostante abbia qualche parte mancante nella faccia superiore dovuto alla azione di corrosione degli agenti atmosferici, si presenta con forma assimilabile a un parallelepipedo rettangolare. Il blocco dal peso stimato di circa 12 quintali, risulta staccato da terra di circa cm 20, essendo poggiato su quattro piccoli massi disposti agli angoli della faccia inferiore.

In prossimità delle prime capanne vicine alla Croce, è stata trovata una pietra calcarea del peso di 33 kg, lunga cm 45, larga cm 25 e alta cm 20, che nella faccia superiore presenta un incavo profondo cm 3 di forma circolare avente un diametro di cm 23, che occupa tutto il lato. L’incavo non è naturale e i segni al suo interno, denotano l’intervento dell’uomo; si ipotizza che l’erosione artificiale sia conseguenza dell’azione di sfregamento.

Un attenta esplorazione condotta sia sul falsopiano che alla base del dirupo meridionale e su quello del lato Nord, ha portato al ritrovamento di numerosi frammenti vascolari riferibili a contenitori per uso domestico. Nella loro superficie si evidenziano numerose fessurazioni motivo per cui si frantumano con grande facilità; nell’impasto si nota la presenza ghiaino e di piccoli frammenti lapidei.

Un interessante ritrovamento è rappresentato da un frammento di ossidiana a forma lanceolata, avente un bordo tagliente che presuppone l’uso di utensile. Era nei pressi del rialzo centrale del falsopiano nel lato prossimo alla depressione.

Per completezza di informazione, si precisa che la punta di freccia è stata rinvenuta sul blocco calcare nella metà degli strapiombi della parete a Sud, mentre l’ascia è stata ritrovata su un lastrone calcareo della parete Nord, presente tra la grande fossa e la croce.

Eugenio Maria Beranger – Achille Lamesi