Archivio dell'autore: Giovanni Gasparri

Noi siamo ciò che mangiamo

L’era geologica in cui viviamo è denominata Età del Silicio, anche se la novità piu’ grande che distingue la nostra civiltà da quella dell’Età del Ferro è probabilmente la plastica e non il silicio. Questo perchè mentre il silicio è un elemento chimico presente in natura, le materie plastiche invece sono state interamente sintetizzare dall’uomo attraverso un processo evolutivo che è iniziato nel 1855 con la sintesi del rayon.

L’invenzione della plastica ha indubbiamente rivoluzionato positivamente le abitudini dell’Umanità, introducendo però anche alcune problematiche per la salute.

Ad esempio il Bisfenolo A, conosciuto anche come BPA, è un composto utilizato per sintetizzare alcune materie plastiche, come ad esempio il poliestere, il pvc, le resine epossidiche ed il policarbonato, e sembrerebbe essere coinvolto in numerose patologie della sfera sessuale di bambini ed adulti.

Il policarbonato, di cui il BPA è un componente chiave, è utilizzato per la produzione di tantissimi prodotti, tra i quali giocattoli per bambini, bottiglie, dispositivi medicali, lattine alimentari e tutti quei prodotti plastici in cui sono richieste qualità come trasparenza, durezza e resistenza.

Sono stati pubblicati più di cento studi sulle interazioni del BPA con il sistema endocrino ed alcuni, a partire dal 2008, avrebbero dimostrato la sua tossicità, gli effetti cancerogeni e neurotossici, incluso l’aumento del rischio di obesità. Alcune aziende hanno già eliminato il BPA dai biberon e dai giocattoli per bambini, tuttavia il monomero è largamente impiegato su scala industriale, tanto che è presente praticamente ovunque, anche negli shampoo.

Diversi studi avrebbero evidenziato che esponendo gatti e topi anche a bassi dosaggi di bpa si sarebbero riscontrati effetti come:

  • cambiamenti permanenti nei genitali;
  • cambiamenti nel tessuto mammario che predispongono le cellule all’azione degli ormoni e sostanze cancerogene;
  • effetti avversi sulla riproduzione e cancerogeni a lungo termine;
  • incremento del peso della prostata del 30%;
  • perdita di peso, riduzione dell a distanza ano-genitale in entrambi i sessi, segni di pubertà precoce;
  • diminuzione del testosterone nei testicoli;
  • cellule del seno predisposte al cancro;
  • cellule della prostata più sensibili agli ormoni e cancro;
  • diminuzione dei comportamenti materni;
  • inversione delle normali differenze sessuali nella struttura del cervello e comportamento (tendenza all’omosessualità);
  • disturbi nello sviluppo ovarico;
  • effetti avversi neurologici.

La cosa che dovrebbe farci riflettere è che il Bisfenolo A è in grado di attraversare il rivestimento in plastica di prodotti alimentari in scatola, specialmente se trattati con alte temperature o con sostanze acide (come l’acido citrico delle bevande gassate), è contaminare i cibi.

Secondo delle ricerche il 93% della popolazione mondiale avrebbe tracce di BPA nelle urine. Inoltre bere da bottiglie di policarbonato aumenterebbe del 66% i livelli di BPA nelle urine.

Le associazioni di consumatori raccomandano alle persone che vogliono ridurre l’esposizione al BPA di evitare gli alimenti in scatole di plastica o policarbonato. Invece il National Toxicology Panel raccomanda anche di evitare di mettere contenitori di plastica nei forni a microonde o di lavarli nelle lavastoviglie o utilizzando detergenti aggressivi.

Aveva ragione il filosofo hegeliano Feuerbach quando affermava che l’uomo è ciò che mangia.

Facciamo attenzione a cosa compriamo, a cosa mangiamo e ricordiamo sempre che quando gettiamo via rifiuti di plastica nell’ambiente in qualche modo tornano sul nostro piatto.

Ci torneranno prima o poi, anche se prima di farlo finiscono magari sull’isola di plastica nel Pacifico (leggi articolo di approfondimento dal titolo “Un’isola tra le onde”) e poi nello stomaco di qualche sventurato tonno (leggi articolo di approfondimento dal titolo “Tonno, olio e cesio radioattivo. Cosa c’`e di vero”) ripescato ed inscatolato.

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Autore: Giovanni Gasparri (Linkedin | Facebook)
Data di Pubblicazione  1 Settembre 2014
Ultima Revisione: 1 Settembre 2014

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Nuove proposte, vecchie dimenticanze

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L’Italia detiene il primato mondiale per avere il maggior numero di siti riconosciuti dall’Unesco quali Patrimonio Mondiale dell’Umanità (50 su 779). Tuttavia nella classifica mondiale del turismo  (UNWTO) il bel paese si piazza solo al quinto posto nel 2013 con quasi 48 milioni di turisti internazionali ed è il terzo paese più visitato d’Europa dopo Francia e Spagna. I turisti che hanno visitato il nostro paese sono aumentati del 3% circa rispetto all’anno precedente ma potremmo fare molto di più.
Le aree come la Ciociaria, pur essendo ricche di attrazioni e ben collegate alla capitale, non hanno mai sfruttato in maniera significativa e sistematica il potenziale turistico.
Da uno studio della Camera di Commercio di Frosinone sulla “capacità attrattiva turistica della Provincia”, emerge infatti che il 68% delle attività ricettive dell’intera provincia di Frosinone si limitano ad operare nel campo della ristorazione e che circa il 75% delle presenze del territorio interessano la sola area di Fiuggi.
Quindi nelle altre zone le amministrazioni, con notevoli sforzi, cercano in qualche modo di inventare nuove attrattive che siano in grado di portare linfa vitale alle attività produttive e commerciali. C’è una inspiegabile tendenza a fare necessariamente cose sempre nuove, ma che nella maggior parte dei casi si rivelano iniziative che difficilmente avranno un seguito. Ben vengano nuove idee, purché però non siano effimere e non vadano a peggiorare lo stato delle cose.
Un episodio esemplare si è verificato recentemente nel comune di Monte San Giovanni Campano, che ha ospitato una ben riuscita manifestazione motoristica. Il percorso del Rally ha interessato diverse zone del comune e molti appassionati, anche venuti da fuori regione, si sono appostati in località Malanome per assistere all’evento.
Ma nessuno di loro sapeva che nel 1927 in quel posto (proprietà Bulgarini per l’esattezza)  furono rinvenute delle tombe preistoriche risalenti all’età del rame (III millennio a.c.). Probabilmente qualcuno sarebbe stato interessato a vivere il territorio come se fosse in una trasmissione di Discovery Channel, sapendo che in una di queste tombe fu rinvenuto un cranio davvero singolare (conosciuto con il nome di “Cranio di Casamari”). Esso infatti presenta dei segni di trapanazione ossea ed in alcuni punti del cranio sono ravvisabili inequivocabili segni di cicatrizzazione ossea, il che fa supporre che la trapanazione cranica venisse effettuata su paziente vivo, sicuramente per scopi medicali. Si tratta del primo cranio rinvenuto in Italia che presenta segni di trapanazione ossea, ovvero di neurochirurgia preistorica. Anche in diverse aree del mondo sono stati ritrovati crani simili, tra i quali l’esemplare più antico fu scoperto a Taforalt, remota località montana nel Marocco, risalente a 10.000 anni prima di Cristo.

Il cosiddetto cranio di Casamari è adesso in esposizione a Roma, presso il Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini”, mentre altri resti delle sepolture di Malanome (vasi in terracotta, punte di freccia in selce ed accette levigate in pietra verde)
sono conservati presso il Museo Preistorico di Pofi.
Insomma tanti sforzi per inventare qualcosa in grado di attrarre turisti con manifestazioni effimere e poi non siamo in grado di far apprezzare le cose davvero straordinarie che abbiamo. Quanto meno se i visitatori venuti da fuori regione perché attratti dal rally lo avessero saputo, non avrebbero probabilmente lasciato l’immondizia tutta intorno al sito del ritrovamento preistorico (vedi foto).
 
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Autore: Giovanni Gasparri (Linkedin | Facebook)
Data di Pubblicazione  27 Agosto 2014
Ultima Revisione: 27 Agosto 2014

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Antichi Saperi: l’olio di semi di faggio

Leggendo un vecchio libro ho trovato un riferimento all’olio di semi di faggio che ha suscitato il mio interesse. Non avendone mai sentito parlare ho iniziato ad approfondire l’argomento, immaginando da subito che si trattasse di un’antica pratica oramai in disuso. Così mi sono imbattuto in una interessante descrizione delle caratteristiche organolettiche e del metodo di produzione che vorrei condividere con voi, nell’ottica della riscoperta degli “antichi saperi”.
Riporto qualche paragrafo (notare il caratteristico linguaggio scientifico ottocentesco) tratto dall’Enciclopedia di Chimica Scientifica ed Industriale – Volume Sesto edita nel 1873 e disponibile gratuitamente online per la consultazione all’indirizzo: http://goo.gl/6RcBvc.

“I semi di faggio contengono un olio fluido di sapore dolce il quale può essere spremuto e utilizzato nell’economia domestica come commestibile e come combustibile. Nella fine del secolo scorso (1700) in Francia fecero esperienze accurate sulla quantità e la qualità dell’olio di faggio e da un calcolo dell’agronomo Baudin, fu desunto che raccogliendo i semi dal bosco di Compiègne (quale era in allora) si avrebbe potuto ottenere tanto olio da bastare molti anni agli abitanti del luogo.” […]

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“I semi del faggio forniscono il 17 per 100 di olio il quale quando fu ben preparato ha colore abraceo senza odore e di sapore molto dolce, se dalle mandorle fu separata la corteccia e la pellicola. Non è troppo fluido. Raffreddandolo si solidifica a -17° ed ha la densità di 0,922 a 15°. Può supplire all’olio di olive e possiede la preziosa proprietà di conservarsi non rancido più a lungo che gli altri olii, anzi si afferma che migliori nell’ invecchiare e che dopo cinque anni sia di gusto più delicato e che si mantenga non guasto per dieci e fino per venti anni. ” […]

“Berthollet, l’Héritier e Tissot furono incaricati dal Governo (Francese) di quel tempo di compilare due istruzioni relative alla raccolta dei semi di faggio ed all’estrazione dell’olio donde si possono ritrarre buoni insegnamenti anche al presente. L’Italia non è scarsa ne suoi alti monti di faggi di alto fusto e però potrebbe volgere la propria attenzione sopra un industria che tornerebbe vantaggiosa per più titoli ed in ispecie al presente in cui gli olii commestibili e per saponi raggiunsero un prezzo elevato quantunque non s’adoprino più di frequente nelle lampade e lucerne, avendovi surrogato il petrolio. Noi daremo un riassunto di quanto fu indicato come conveniente su tale argomento. Verso la fine di settembre si farà la raccolta dei semi i quali poi dovranno essere stesi in istrato sottile in luogo secco ben aerato e guardato dal sole. Per agevolare la disseccazione fu trovato opportuno indirizzare una corrente d’aria calda nel detto luogo, credendosi anzi che ciò facendo la quantità di olio risulti maggiore. I semi già secchi devono essere vagliati per separarne i vuoti ed i tarlati; si può anche farne la cernita a mano, ma vi occorre troppo tempo; si può gittarli nell’aria come si fa pel frumento.” […]

I semi del faggio hanno il loro mandorlo chiuso in un guscio cui succede immediatamente una pellicella che dà cattivo sapore all’olio. Nel modo più rozzo di operare si spremono i semi senza toglierne il guscio e con ciò si perde 1/7 dell’olio che si ricaverebbe dalle mandorle sbucciate, come fu verificato per mezzo dell’esperienza. Per isbucciarli si fanno passare fra due macine somiglianti a quelle dei molini comuni ma talmente discostate che non facciano altro che frangere i gusci. Rimane la pellicola che si può togliere scuotendo le mandorle scortecciate entro un sacco e poi vagliandole.  Quando si abbiano i semi preparati nel modo disegnato si dovranno ridurre in pasta con uno dei mezzi seguenti:

  1. Si portano al molino a pila e si pilano a colpi moderati avendo cura di aggiungervi dell’acqua di tempo in tempo, per trasfondere coesione alla pasta, che poi si sottopone al torchio come si fa per gli altri semi oleiferi. Basta 1 parte d’acqua per 15 parti di semi da pestare e il pestamento dura un quarto d’ora incirca. Si conosce che è a termine allorchè spremendo un po di pasta tra le dita l’olio ne schizza fuori
  2. Si possono anche sottomettere allo schiacciamento delle macine verticali di pietra dura come si usano per altri casi.
  3. Ma il metodo migliore è quello della macinatura. Scortecciati i semi, dapprima si riducono in farina grossolana che indi si sminuzza di più in un molino da cereali. Usando qualche cautela cioè che la macina non giri troppo veloce e l’aria possa rinfrescarla non si ha da temere l’inconveniente che s’ingrassi.
  4. Ridotti in farina sottile se ne fa pasta con acqua che si spreme sotto il torchio come per gli altri semi oleiferi valendosi dei torchi o pressoi usati per l’olio d’olivo e pei semi oleiferi. Allorché non ne geme più olio si riporigono le focacce sotto macine verticali si inaffiano con acqua tiepida che agevola l’uscita dell’olio gonfiando le mucilagine si rimette al pressoio la seconda pasta e se ne ricava un olio di seconda qualità. Talvolta si prendono le seconde focaccie si rimettono sotto le mole verticali si bagnano con acqua bollente e si riesce ad una terza proporzione di olio che riesce di qualità inferiore.
Giovanni Gasparri
Monte San Giovanni Campano, 26Agosto 2014
 

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Autore: Giovanni Gasparri (Linkedin | Facebook)
Data di Pubblicazione  26 Agosto 2014
Ultima Revisione: 26 Agosto 2014

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Ingegneria genetica e OGM. Rischi e Opportunità

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Il testo si basa prevalentemente sulla sintesi del controverso documentario dal titolo the Seeds of Death prodotto da Gary Null e va inteso unicamente come una raccolta di spunti di riflessione da cui si possono iniziare approfondimenti personali per valutarne la veridicità o meno, da effettuarsi per mezzo di fonti attendibili. Le eventuali informazioni a carattere sanitario e scientifico o inerenti la salute sono fornite a puro titolo informativo, e non vanno considerate in nessun caso sostitutive del parere o dell’opinione del medico e delle figure professionali del settore. L’articolo non rappresenta necessariamente l’opinione degli autori, di Legambiente, del sito ed i collaboratori che non potranno essere considerati responsabili per danni di qualsiasi natura a terzi o per qualsiasi azione od omissione posta in essere a seguito dell’uso delle informazioni contenute nell’articolo.
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L’ingegneria genetica è quella nuova scienza che si occupa di estrapolare in maniera selettiva geni dal DNA di microrganismi, piante e animali e di iniettarlo forzatamente all’interno del DNA di specie diverse.
Lo scopo degli scienziati è quello di comprendere il funzionamento della vita stessa, per poter individuare nuovi strumenti capaci di curare malattie o aumentare il benessere dell’Uomo. Tutti propositi indubbiamente lodevoli.
Con queste techiche gli scienziati riescono a manipolare le caratteristiche fisiologiche di esseri viventi e piante, facendo un copia e incolla di pezzi di DNA da varie specie, così da creare nuove forme di vita con delle caratteristiche inesistenti in natura, interamente progettate ed ingegnerizzate in laboratorio.
Si lavora ad esempio per rendere i maiali transgenici adatti per fare da donatori di organi all’uomo in caso di bisogno, senza dover ricorrere all’espianto da cadaveri e risolvendo le enormi difficoltà tecniche legate alla compatibilità, alle tempistiche ed alle liste di attesa.
L’ingegneria genetica è dunque una scienza si controversa ma indubbiamente affascinante e capace di aprire al mondo nuove prospettive. Per questo il suo studio andrebbe assolutamente incoraggiato e non ostacolato.Con queste tecniche l’Uomo interviene attivamente nella creazione di nuove forme di vita, prendendo impropriamente il posto di Dio nei processi di creazione ed evoluzione delle specie.Tuttavia, come già successo storicamente con la scoperta della radioattività (leggi l’articolo di approfondimento “Fidarsi della scienza, non fidarsi dell’industria”), alla fase scientifica ha fatto immediatamente seguito la fase industriale che vive di guadagni proprio grazie all’entusiasmo del mercato suscitato dalle nuove tecnologie.
Così anche per gli OGM le aziende hanno fiutato subito le opportunità di guadagno e si sono immediatamente lanciate nella distribuzione al pubblico di prodotti transgenici (es. pesci fluorescenti, semi per l’agricoltura, mangimi per animali) e prodotti derivati da OGM (es. latte).
Le più importanti aziende che a livello mondiale generano profitti dalla commercializzazione di prodotti transgenici o dallo sfruttamento dei brevetti sulle manipolazioni genetiche (altra materia controversa) sarebbero prevalentemente: Bayer, Monsanto, Basf e Dupont.
Bayer produce ad esempio il Riso OGM LL62, modificato per resistere al glufosinato, un erbicida altamente tossico prodotto dalla stessa Bayer e molto venduto in tutto il mondo con un giro di affari stimato in 241 milioni di Euro solo nel 2007.
Lo scopo di questo riso è quello di consentire ai coltivatori di aumentare l’utilizzo degli erbicidi così da distruggere praticamente tutto eccetto il riso.
Monsanto produce ad esempio il Mais MON 810, geneticamente modificato in modo da generare una proteina (Delta-Endotossina) che danneggia gli insetti (lepidotteri) che cercano di nutrirsene. L’uso sarebbe stato approvato dall’Unione Europea dal 1998. Il 90% del volume totale europeo sarebbe coltivato in Spagna. In Italia l’utilizzo di questo Mais sarebbe stato dichiarato illegale solamente pochi mesi fa, ovvero il 12 Luglio 2013, ma il decreto è stato impugnato dall’Agenzia Europea per la sicurezza alimentare (EFSA) che ne ha dichiarato l’infondatezza. In Italia pertanto vige uno stato di incertezza che, secondo quanto riportato da Greenpeace Italia sul proprio sito, sarebbe causa di possibili contaminazioni in Friuli Venezia Giulia.
Non si sa ancora quale sarà l’esito della contestazione dell’EFSA, ma sappiamo che alcuni paesi, come la Grecia, sono stati sanzionati dall’Unione Europea (delibera 2006/10/CE del 10 gennaio 2006) poichè “[…] la Grecia non è autorizzata a vietare la commercializzazione delle sementi di mais ibridi derivati all’organismo geneticamente modificato MON 810 […]“.
Basf produrrebbe la patata AMFLORA, modificata geneticamente per renderla adatta per produrre carta e per altri scopi tecnici ed industrali.
In Italia non si pottrebbero coltivare piantagioni OGM, ma i prodotti di consumo conteneti OGM possono essere liberamente venduti  (con l’obbligo di informare i consumatori). In qualche modo i consumatori sarebbeto tutelati, insomma, anche se non sembrerebbe facile tracciare ed informare i consumatori sui prodotti che derivano da animali che si alimentano con mangimi OGM, come ad esempio la carne o il latte.
Per dare un’idea della dimensione del fenomeno dell’agricolura transgenica, nel 2006 (8 anni fa) la superficie totale di campi coltivati con piante transgeniche era di 102 milioni di ettari (ovvero l’equivalente di 239 milioni di campi di calcio) con un incremento del 135% rispetto all’anno precedente.
Nel 2010 è stato stimato che il 10% dell’intera superficie coltivata del mondo sarebbe  stata seminata con prodotti geneticamente modificati. I paesi più interessati sono Stati Uniti, Canada, India, Sud America, Cina.
Le considerazioni da fare, specie sull’agricoltura OGM, sono molte e tutte controverse.
Non sono ancora stati pubblicati studi approfonditi sull’impatto a lungo termine degli OGM sull’uomo,  sull’ambiente e sugli animali. Probabilmente occorreranno anni per farlo. Nel frattempo le aziende brevettano e speculano sulla mancanza di dati scientifici.
Il problema è che per l’agricoltura transgenica il processo sembrerebbe oramai irreversibile ed incontrollabile. Infatti il vento, il polline, gli insetti ed altri fattori farebbero si che questi prodotti geneticamente manipolati vadano a contaminare coltivazioni autoctone e biologiche,  che riproducendosi minano la biodiversità in maniera irreversibile.
Inoltre c’è da considerare che, secondo alcuni studiosi (tra cui Michael Antoniou, PhD genetista presso il King College London School of Medicine) uccidendo gli insetti e non consentendo loro di nutrirsi, si scatena una reazione a catena negativa sull’intero ecosistema naturale che colpisce in maniera particolare i predatori che si cibano di insetti e gli altri predatori della catena alientare.
Sempre secondo Antoniou queste multinazionali promuoverebbero commercialmente i loro prodotti come sicuri da mangiare ed in grado di apportare benefici all’ambiente, aumentare la produzione del raccolto, ridurre l’uso di pesticidi e capaci di risolvere il problema della fame nel mondo.
Secondo altri l’industria genetica produce GMO per la distribuzione su scala mondiale accelerando semplicemente quel processo di selezione naturale Darwiniana che avviene da sempre in natura. Queste aziende avrebbero semplicemente migliorato ed accelerato quegli incroci di specie che gli agricoltori e gli allevatori da millenni effettuano proprio per esaltare alcune caratteristiche genetiche delle specie (colore, forma, resistenza, sapore, etc), scambiandosi semi e facendo accoppiare in maniera selettiva gli animali.
Non avendo a disposizione sufficienti elementi per valutare queste affermazioni, soffermiamoci a capire chi sono queste aziende, quali sono i loro interessi e la loro storia.
Innanzitutto mettiamo in evidenza che le aziende che lavorano sugli OGM (ovvero le aziende biotecnologiche) sono tutte aziente chimiche e farmaceutiche e si sa che l’industria farmaceutica genera profitti quando la popolazione è malata. Quando affermano pertanto che i prodotti da loro commercializzati sono sicuri, ovvero non provocano danni alla salute umana, bisognerebbe sempre considerare il loro evidente conflitto di interessi e pertanto le loro dichiarazioni andrebbero prese con estrema cautela e diffidenza.
Guardando alla storia, secondo quanto riportato da Wikipedia, Bayer Basf sarebbero le stesse aziende che durante il periodo Nazista (dal 1941 al 1944) guadagnavano soldi producendo, come membri del consorzio I.G. FARBEN, il gas killer denominato ZYKLON B che Hitler utilizzò per sterminare più di cinque milioni di Ebrei nei campi di concentramento come Auschwitz.
Sempre stando a quanto riportato da Wikipedia, Monsanto sarebbe la stessa azienda che produceva il DDT nel 1940, sostanza definita come inquinante organico persistente ed altamente resistente nonchè etichettata come possibile cancerogeno. Il suo utilizzo è stato vietato a partire dal 1972 (negli Stati Uniti) e dal 1978 (in Italia).
La stessa Monsanto avrebbe prodotto tra il 1961 e il 1971, un altro ritrovato miracoloso che avrebbe risolto i problemi Americani nel Vietnam, il famigerato Agente Arancio. Si trattava di un defoliante utilizzato nel Vietnam dagli Americani che veniva irrorato dagli aerei per far cadere le foglie degli alberi così da far uscire allo scoperto i Viet Cong. La sostanza chimica avrebbe  provocato e provocherebbe tuttora gravi malformazioni e tumori alle popolazioni locali.
Monsanto sarebbe ancora al centro dell’attenzione anche per altri prodotti controversi come l’ormone per la crescita bovina ed i PCB (policlorobifenili). Per questi ultimi, in commercio dal 1929, solo dopo quasi 84 anni di utilizzo massiccio, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) avrebbe accertato nel 2013 una correlazione tra esposizione ai PCB e cancro.
Secondo quanto riportato da Rima Laibow – Medical Director della Natural Solutions Foundation,  Monsanto e Dupont starebbero lavorando in maniera congiunta per commercializzare il gene Epicyte, che immesso all’intero del cibo OGM indurrebbe l’organismo umano a creare autoanticorpi contro lo sperma, con la conseguenza di rendere irreversibilmente sterili uomini e donne.
Secondo alcuni, se questa tecnologia dovesse andare nelle mani di malintenzionati, potrebbe magari un giorno essere somministrata all’interno di cibo OGM e distribuita in grande scala per scopi terroristici, bellici o per effettuare pulizie etniche.
Considerato che, dal punto di vista imprenditorale, non avrebbe alcun senso per le aziende investire soldi nella ricerca di questa categoria di OGM senza possibilità alcuna di un futuro ritorno economico, è probabileche ci sia già un mercato per il gene Epicyte, ovvero dei potenziali acquirenti.
Con gli OGM stiamo assistendo ad un fenomeno davvero inquietante:
 
anziché cambiare l’industria per adattarla alle esigenze della natura, l’Uomo sta cambiando la natura per adattarla alle esigenze dell’industria.
La cosa interessante da notare e che quasi tutte le applicazioni degli OGM nell’agricoltura vanno a vantaggio economico dei produttori e mai del consumatore finale (no prezzi più bassi o migliori sapori ad esempio).
“I rischi a cui si espone l’agricoltura oggi mi sono troppo elevati e non vale la pena rischiare, bisogna seguire il principio di precauzione” (Michael Antoniou, PhD)
Quello che possiamo fare è sostenere la battaglia contro la contaminazione da OGM che produce inquinamento genetico incontrollato.
Per farlo bisogna spingere i comuni Italiani a far applicare la “clausola di salvaguardia” prevista dalla normativa Europea e già adottata da molti altri paesi.
Si tratta di dichiarare il comune “antitransgenico”, ovvero:
  • impedire, sulla base del principio di precauzione e sulle valutazioni degli aspetti socio-economici del territorio, che vengano coltivati, allevati, sperimentati in campo aperto, trasportati e commercializzati organismi geneticamente manipolati;
  • controllare la qualità degli alimenti agricoli e di allevamento prodotti sul territorio;
  • invitare le aziende fornitrici di pasti e derrate nelle mense pubbliche e scolastiche a dichiarare formalmente il non utilizzo di alimenti contenenti OGM;
  • pubblicizzare la delibera tramite l’apposizione della denominazione “COMUNE ANTITRANSGENICO” nei cartelli di ingresso e di saluto del Comune e sul sito internet ufficiale.

 

Nella provincia di Frosinone sono stati già dichiarati COMUNI ANTITRANSGENICI i comuni di:

  • AQUINO;
  • SAN DONATO VAL DI COMINO;
  • SAN GIOVANNI INCARICO.
Dobbiamo spingere le amministrazioni locali del bacino dell’Amasena a prendere provvedimenti quanto prima e poi estendere questa forma di tutela ai territori limitrofi fino a comprire l’intero territorio nazionale.
Inoltre la Legge Regionale del Lazio del 01 Marzo 2000 numero 15, prevede la Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario. Bisogna individuare le nostre risorse, proteggerle e svilupparle, anche commercialmente.
Non dimentichiamo che noi siamo ciò che mangiamo.
Per approfodire è consigliata la visione del filmato seguente, da cui sono state tratte la maggiorparte delle informazioni tradotte e sintetizzate in  questo articolo.
Giovanni Gasparri
Toronto, 30 Marzo 2014

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Autore: Giovanni Gasparri (Linkedin | Facebook)
Data di Pubblicazione  30 Marzo 2014
Ultima Revisione: 30 Marzo 2014

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Fidarsi della scienza, non fidarsi dell’industria

Ad ogni grande scoperta dell’uomo, ha fatto sempre seguito una rapida ondata di produzione industriale e di ottimismo commerciale.
Questa corsa contro il tempo, volta a conquistare il mercato con prodotti sempre nuovi, ha spesso creato conseguenze disastrose.
Gli scienziati non hanno neanche il tempo di validare gli effetti a lungo termine delle scoperte sulla salute o sull’ambiente, che nel frattempo le aziende iniziano già a lucrare con la distribuzione al pubblico.
Quando Marie Curie scoprì la radioattività, ad esempio, l’industria entrò subito in fermento, portando nelle case della gente degli oggetti pericolosissimi.
Non si conoscevano ancora i rischi della radioattività sull’uomo, ma il mercato sembrava comunque entusiasta: c’erano nuove idee da vendere a tutti i costi.
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La fabbrica Auergesellschaft di Berlino iniziò a commercializzare, ad esempio, nel 1920 un dentifricio radiattivo al Torio, chiamato Doramad, e pubblicizzato come miracoloso per l’incredibile effetto antibatterico e sbiancante sui denti.
Il dottore farmacista Alexis Moussalli, Parigino ma di origini Egiziane, brevettò tra il 1927 ed il 1934 ben 101 preparati a base di Radio, Torio ed altre sostanze radioattive. La creazione che ebbe più successo a livello commerciale fu THO-RADIA, disponibile come

tho-radiacrema o polvere,  venduta come prodotto di bellezza e curativo a donne di tutte le età – metodo scientifico.

L’inventore William J. A. Bailey, con una falsa laurea ad Harvard, dichiarò nel 1918 che secondo dei suoi studi l’acqua potabile arricchita con il radio potesse stimolare il sistema endocrino e curare patologie come il diabete, l’impotenza, l’anemia, l’asma e diverse altre patologie ancora. Si arricchì mettendo in commercio la bevanda Radithor, fabbricata nel New Jersey. Aveva investito nell’idea il ricco industriale americano Eben Byers che, per ironia della sorte, morì nel 1932 proprio a causa dell’ingestione prolungata di Radithor.
Il fondo probabilmente lo toccò la Home Products Company di Denver, in Colorado,  che nel 1930 pubblicizzò un surrogato dell’attuale Viagra. La supposta radioattiva che avrebbe garantito prestazioni sessuali “scintillanti”.
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Ci si accorse troppo tardi delle conseguenze della radiattività sull’uomo. Pian piano tutti gli scienziati che avevano attivamente lavorato in quell’ambito di ricerca iniziarono a morire precocemente. Prima Charles Madison Dally, nel 1904, poi Elizabeth Ascheim l’anno seguente,  Marie Curie nel 1934, Louis Slotin nel 1946 e tanti altri ancora.
Il loro sacrificio non è servito a molto per cambiare le intenzioni dell’industria.
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Tra agli anni ’70 e gli anni ’80, infatti, l’azienda 3M, tuttora leader mondiale nel suo settore, produsse un dispenser di nastro adesivo radiattivo. Era il modello C-15 Decor Scotch e conteneva Torio. La sostanza radioattiva era stipata nella pesante base che rendeva il dispenser stabile sulle scrivanie.
Con modalità analoghe a queste  appena elencate,  la radioatività era entrata ormai dentro la maggior parte degli oggetti e si era diffusa in maniera incontrollabile:
  • Uranio – nella ceramica utilizzata per dentiere, pentole, gioielli, mattonelle da bagno e nel vetro e marmo;
  • Uranio impoverito –  nei dadi da gioco per bambini e proiettili;
  • Torio – in lanterne incandescenti, utensili ed oggetti di ferramenta in lega magnesio-torio,  bacchette per le saldatrici, obiettivi fotografici, sale alimentare povero di sodio, noci brasiliane, gomme da masticare, cioccolate;
  • altri isotopi radioattivi – nelle penne per scrivere, candele per motori delle macchine, farmaci antidiarroici, rilevatori di fumo, valvole elettriche, gioielli, palline da golf, fertilizzanti per terreni, sale e carta lucida delle riviste a colori.
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E’ scientificamente provato che la radioattività crea danni al nucleo delle cellule ed al DNA, anche irreversibili.
In caso di danni irreversibili al DNA, la cellula darebbe vita a una progenie di cellule geneticamente modificate che potranno dar luogo a tumori o leucemie.
Tutti questi oggetti, che in maniera subdola hanno minato per decenni il nostro DNA e la nostra salute, adesso sono finiti nelle discariche di tutto il mondo e resteranno li ad inquinare ancora per molto.
Il Radio dimezza la propria intensità di irradiazione (emivita) in un periodo di 1602 anni, il Torio invece è quasi perenne. La sua emivita, infatti, è tre volte l’età attuale della terra.
Con la radioattività, l’entusiasmo e la logica del guadagno aveva prevalso.
Facciamo in modo che la ricerca scientifica non si fermi, ma che l’industria non ci lucri sopra prima che gli scienziati abbiano avuto il tempo di verificare gli effetti delle scoperte.
Sta succedendo di nuovo con gli OGM. Fermiamoli prima che sia troppo tardi.
Giovanni Gasparri
Toronto, 19 Marzo 2014

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AGIAMO LOCALMENTE!

Autore: Giovanni Gasparri (Linkedin | Facebook)
Data di Pubblicazione  19 Marzo 2014
Ultima Revisione: 19 Marzo 2014

PER APPROFONDIRE

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© Questo articolo, denominato “Fidarsi della scienza, non fidarsi dell’industria” di Giovanni Gasparri  è fornito integralmente sotto licenza internazionale Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0.

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Giornate FAI 2014 in Ciociaria

Sabato e Domenica 22 e 23 Marzo 2014 avremo la possibilità di ammirare 750 tesori d’Italia che generalmente non sono accessibili al pubblico. Si tratta della ventiduesima edizione delle Giornate FAI di primavera, organizzate dal Fondo Ambiente Italiano per diffondere la culura del Patrimonio Italiano e la sensibilità a conservarlo.

Per questo motivo gli ingressi sono gratuiti anche se sono graditi liberi contributi per l’accesso a queste risorse.

La provincia di Frosinone offre tre tappe molto interessanti ad ARPINO, SANT’ELIA FIUME RAPIDO e CASSINO.

Tutte e tre le tappe della Ciociaria sono inserite nell’itinerario nazionale dei luoghi Augustei, ovvero dei luoghi correlati alla vita e alle opere dell’imperatore Augusto. Scopriamo perchè…

ARPINO

Arpino, oltre ad essere la patria di Cicerone, ha dato i natali anche a Marco Vipsanio Agrippa, influente personalità della Roma antica e genero dell’Imperatore Ottaviano.

L’imperatore Augusto nacque sotto il consolato dell’arpinate Marco Tullio Cicerone e Caio Antonio.
In quasi 40 anni di regno, Augusto portò grandi modifiche che lasciarono segni nei secoli e si servì di Marco Vipsanio Agrippa come bravissimo architetto per abbellire Roma di edifici e monumenti (come ad esempio il Pantheon).

Le visite guidate saranno disponibili dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00 di entrambi i giorni e l’organizzazione sarà a cura degli Apprendisti Ciceroni. Le visite prevedono anche una tappa alla Civitavecchia di Arpino, con le sue Mura Ciclopiche ed il celeberrimo Arco a Sesto Acuto.

SANT’ELIA FIUME RAPIDO

Nel territorio di S. Elia sorgeva l’acquedotto romano di Casinum e seguiva l’alveo del fiume Rapido. Lo splendido Ponte dell’acquedotto, denominato LAGNARO, è caratterizzato da campata ampia 12 metri.

Le visite guidate saranno disponibili dalle 10:00 alle 18:00 di entrambi i giorni e l’organizzazione sarà a cura degli Apprendisti Ciceroni. 

CASSINO

A Cassino sarà aperta l’area archeologica e sarà possibile ammirare il Teatro dell’Età Augustea, l’anfiteatro ed il sagello sepolcrale di Ummidia Quadratilla, i resti della Via Latina, Ninfeo Ponari ed il museo archeologico della città.

Le visite guidate saranno disponibili dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00 di entrambi i giorni e l’organizzazione sarà a cura degli Apprendisti Ciceroni. 

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Autore: Giovanni Gasparri (Linkedin | Facebook)
Data di Pubblicazione  15 Marzo 2014
Ultima Revisione: 15 Marzo 2014

PER APPROFONDIRE

Una casa è per sempre

Bilder für Wikipedia

Il settore dell’edilizia è in crisi profonda da alcuni anni in Italia. Una delle zone più colpite è la Ciociaria che da sempre mette al servizio della Capitale le migliori e più qualificate risorse umane per la realizzazione di importanti progetti architettonici pubblici, artistici, industriali e residenziali di Roma.

La depressione del settore edile è un effetto della stagnazione del mercato immobiliare, dovuta prevalentemente alla mancanza di liquidità generalizzata, ma anche alle ridotte opportunità di trasferirsi per lavoro e soprattutto, diciamolo, alla radicata tendenza che gli Italiani hanno a restare in casa.

Il modo in cui siamo legati alla nostra casa, comparato alle altre culture occidentali, è quasi maniacale.

Specie nei paesini, le case vengono tramandate di generazione in generazione come dei testimoni che rappresentano la continuità con la storia genealogica di ciascuno di noi.
Non è raro trovare nuclei familiari che vivono in case secolari che sono appartenute da sempre alla famiglia.

Nella cultura dei Ciociari, poi, i genitori iniziano a preparare la casa per i figli già quando questi sono piccoli, senza considerare che magari un giorno andranno via lontano per soddisfare le proprie ambizioni o inseguire i propri sogni. E se non è possibile rendere più accogliente la casa natìa, magari espandendola, allora ne costruiscono o ne comprano una nelle immediate vicinanze.

L’esempio più eclatante del morboso attaccamento che abbiamo al focolare è rappresentato dal desiderio estremo di tutti gli anziani di tornare a morire nella propria casa, nel proprio letto. Questo rapporto che abbiamo con la casa è ciò che ci distingue maggiormente dalle altre culture ed il nostro modo di considerarla ci offre la possibilità di vivere in maniera più intima il nostro rapporto con la famiglia.

Guardando le case degli Italiani all’estero è da subito evidente che sono le più belle, le più grandi e le più curate. Per noi la casa è sacra e qualsiasi cosa possa succedere lì fuori ci interessa solo fino a quando chiudiamo il portone di casa. Da quel momento in poi si può scatenare anche l’inferno mentre ci godiamo la bellezza del focolare.

In Nord America al contrario c’è la tendenza a considerare la casa come un luogo temporaneo dove si vive e non come parte integrante della vita stessa.

Per questo si comprano e si vendono case molto velocemente ed il mercato immobiliare è più in fermento (nonostante i postumi della crisi dei subprime).

Un aspetto interessante da mettere in evidenza è che consideriamo nostra la casa perchè ci appartiene, ma non consideriamo invece nostro l’ambiente che ci circonda perchè non lo possediamo, non è di nostra proprietà.

Le altre culture invece considerano l’ambiente come un’estensione naturale della propria casa e per questo si prodigano per mantenerlo pulito. Questo non succede da noi, purtroppo, ed i fatti della Terra dei Fuochi o del fiume Sacco ne sono solo piccoli esempi che lo dimostrano tragicamente.

Si dovrà lavorare molto per creare una cultura dell’ambiente inteso come casa. Non dimentichiamo che è da qui che nasce l’ecologia, che in Greco significa proprioamore per la casa.

Impariamo a conoscere l’ambiente, le sue problematiche e come vivere in maniera sostenibile con esso, godendocelo senza consumarlo. Impariamo a considerare il mondo come casa nostra. Non deturpiamolo.

PENSIAMO GLOBALMENTE,
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Autore: Giovanni Gasparri (Linkedin | Facebook)
Data di Pubblicazione  6 Marzo 2014
Ultima Revisione: 6 Marzo 2014

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Un weekend nel passato

Si terrà Domenica 9 marzo 2014 la cinquantesima edizione della sagra della crespella di Santa Francesca (Veroli). Un’occasione da non perdere perchè grazie alla passione degli organizzatori la sagra della crespella è rimasta una delle tradizioni più tipiche, veraci e vive della Ciociaria.

Farina, acqua, sale ed olio d’oliva sono i semplici ingredienti di questo miracolo, che da secoli rappresenta la felicità nei giorni di festa e che conserva intatto il nostro legame con il passato.

In un’atmosfera fiabesca, immersi nella natura pedemontana dei Monti Ernici sarà possibile assistere ad una sfilata di carri allegorici, condotti prevalentemente da personaggi Ciociari in costume d’epoca, che rappresentano degli spaccati di vita della nostra storia. Un modo eccezionale per conservare vivi nella memoria gli usi ed i costumi dei nostri avi e per tramandarli alle nuove generazioni. Le nostre tradizioni e la nostra storia si mescolano in un modo divertente ed esplosivo in una festa di musica, cibo, cultura e divertimento.

A far da cornice alla manifestazione saranno le sfumature dei numerosi organetti che si alterneranno in virtuosismi sulle ballate folkloristiche delle nostre antiche tradizioni (ballarelle). Melodie e ritmi dai connotati unici della Ciociaria centrale che  sono in via di estinzione. Importante e prezioso è il lavoro di ricerca musicale che gli organizzatori da anni stanno facendo per passare il testimone di questo genere musicale autoctono intatto ai nostri figli e nipoti.

Oltre al mercatino in cui sarà possibile acquistare ormai introvabili esemplari di Cioce ed altre suppellettili tipiche della nostra cultura popolare, per la prima volta ci sarà anche lo stand del circolo Legambiente LAMASENA.

La contrada di Santa Francesca, estremo lembo e baluardo dello Stato Pontificio, in una zona di confine battuta dai brignti del passato, è ricca di interesse religioso per via della radicata devozione a Santa Francesca Romana, naturalistico per via del torrente l’Amasena e dei Monti Ernici e pastorale per via delle antiche rotte della transumanza verso il litorale Pontino.  Leggi l’articolo dal titolo “Inseguendo fantasmi di briganti” per approfondire.

Il circolo LAMASENA si sta prodigando, oltre che per la tutela dell’ambiente, per la riscoperta e la salvaguardia degli antichi saperi della nostra terra. Presso lo stand sarà possibile vedere un esemplare di nassa, utilizzata dai nostri avi come trappola per pescare nel torrente l’Amasena,  ed una miniatura di mulino.

Non mancare, questa è un’occasione irrinunciabile per godersi un pò di felicità e per stare insieme.

Inoltre la tua presenza farà sì che le nostre tradizioni non scompaiano ma si rafforzino.

PENSIAMO GLOBALMENTE,
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Autore: Giovanni Gasparri (Linkedin | Facebook)
Data di Pubblicazione  5 Marzo 2014
Ultima Revisione: 5 Marzo 2014

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Una luce nell’oscurità dello spazio

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Nell’Ottobre del 2011 ho avuto il privilegio e l’onore di incontrare il Maggiore Paolo Nespoli, famoso astronauta Italiano, proprio qualche mese dopo essere rientrato dalla sua seconda missione sulla Stazione Spaziale Internazionale denominata Expedition 27.

In quell’occasione ho avuto modo di visionare delle bellissime immagini della Terra scattate durante la missione, ed un brivido di emozione mi ha colpito quando, tra le varie proiezioni, ho intravisto la forma del nostro Stivale.

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“È bellissima l’Italia da lassù”, ho pensato tra me e me a primo impatto.

Guardando bene la foto  mi sono reso conto di come le luci possano svelare delle informazioni importanti sul Paese, come ad esempio le differenze tra le zone più ricche e più povere, le differenze tra Nord e Sud e tra le città più densamente popolate e le zone rurali.

Poi invece, guardando ancora meglio, mi sono reso conto che passato il confine, sia verso Nord che verso Est, non si vedono più luci.

Quella sensazione di patriottismo che pochi secondi prima si era timidamente intravista è sparita di colpo quando mi sono reso conto di quanta energia elettrica sprechiamo in più rispetto ai nostri vicini di casa.

Ma perchè dallo spazio l’Italia è più illuminata delle altre nazioni europee?

Sicuramente una questione di illuminazione sovradimensionata rispetto alle reali esigenze, un po’ frutto della bassa politica locale che installa i lampioni davanti le case della gente come ringraziamento dopo le elezioni.

Non è  solo un sovradimensionamento, però, ma anche un problema strutturale di portata ben maggiore. Tutte quelle luci, infatti, sono anche il segnale evidente che i nostri lampioni stanno illuminando il cielo invece che la terra!

E se per alcuni nostalgici queste luci sono pittoresche e romantiche, per gli scienziati invece rappresentano quello che in gergo tecnico si chiama inquinamento luminoso, ovvero il fenomento causato dall’irradiazione incontrollata di luci intense verso la volta celeste.

L’inquinamento luminoso provoca danni sia di natura ambientale che culturale, ma anche economica.

L’eccessiva illuminazione artificiale crea difficoltà di orientamento in molti animali e l’alterazione dell’orologio biologico (ritmo circadiano) nell’uomo, negli animali e nelle piante.

Per effetto di un’illuminazione selvaggia, inoltre,  le stelle diventano diventano spesso invisibili nei cieli delle nostre città. E non dimentichiamo che è proprio grazie quelle stelle che l’uomo ha fatto le sue più grandi conquiste. Dalla trigonometria all’orientamento, dalla scoperta dell’America alla rivoluzione copernicana. Il cielo e le stelle da sempre sono stati al centro delle grandi riflessioni esistenziali dell’uomo, religiose, filosofiche, matematiche, fisiche ed astronomiche.

E sembrerebbe paradossale adesso affermarlo, ma una lampadina ci illumina un gradino, ma ci oscura il cammino.

Se riuscissimo a controllare in maniera intelligente la direzionalità dei fasci di luce, evitando che l’energia elettrica convertita in luminosa venga dissipata in direzioni inutili,  potremmo risparmiare anche il 50% dell’energia elettrica a parità di risultato.

Il passaggio ai LED è necessario al più presto possibile, sia per risparmiare energia, sia per controllare la direzionalità dei fasci luminosi.

Proprio due settimane fa si è festeggiato il decimo anniversario dell’iniziativa M’ILLUMINO DI MENO, una giornata dell’anno in cui vengono spenti i riflettori sui più importanti monumenti allo scopo di sensibilizzare il pubblico al risparmio energetico.

Ben vengano queste iniziative, ma nel nostro piccolo spegniamo le luci superflue quando possiamo. Ci guadagneremo sia economicamente che in termini di visibilità, perchè il nostro sguardo potrà andare oltre e riscoprire quelle cose meravigliose che hanno ispirato i nostri antenati.

PENSIAMO GLOBALMENTE,
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Autore: Giovanni Gasparri (Linkedin | Facebook)
Data di Pubblicazione  28 Febbraio 2014
Ultima Revisione: 28 Febbraio 2014

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Tonno, olio, sale e cesio radiattivo. Cosa c’è di vero

Japan of the apocalypse Credit: Thierry Ehrmann from Flickr

Japan of the apocalypse
Credit: Thierry Ehrmann from Flickr

Quando si parla della questione nucleare di Fukushima, tendiamo a pensare che sia una realtà così lontana che difficilmente possa interessarci nella vita di tutti i giorni. Purtroppo non è vero e per effetto della globalizzazione, nonostante i 9.700 kilometri di distanza, Fukushima ce l’abbiamo dentro casa e probabilmente anche sulla nostra tavola.

Questo perchè noi Italiani preferiamo mangiare tonno in scatola, che nella quasi totalità dei casi viene pescato e lavorato nel pacifico.

Cosa abbia di speciale questo tonno del pacifico (a parte il prezzo) non si sa, ma di sicuro sembrerebbe che non ne possiamo fare a meno.

Per fortuna comunque la normativa Italiana ed Europea impone l’obbligo per i rivenditori di prodotti ittici di rintracciabilità del prodotto. In particolare questi sono obbligati a dichiararne anche la zona di cattura.

Sarà capitato a tutti di constatare che in alcuni mercati i rivenditori fieri di ciò che vendono mettono bene in evidenza la provenienza se questa è Italiana, Spagnola, Canadese, etc…

In altri casi invece il rivenditore preferisce indicare la zona di cattura con un codice numerico, più criptico, detto Zona FAO, che li fa rientrare negli obblighi di legge pur tuttavia rendendo poco visibile al consumatore la reale provenienza dei prodotti.

C’è da aggiungere però che i prodotti inscatolati non soggetti a trasformazione non sarebbero obbligati a riportare la zona di pesca e quindi molti produttori non la indicano nemmeno.
Quei pochi invece che lo fanno, avendo adottato magari una politica di trasparenza con i consumatori, sono paradossalmente quelli maggiormente colpiti dagli allarmismi che circolano in rete relativi al tonno radioattivo.

Cerchiamo di  fare un po’ di luce sull’argomento.

La mappa che segue mostra in che modo il globo terrestre è suddiviso in zone FAO ed è chiaramente visibile che la zona più interessata dagli sversamenti in mare delle acque contaminate da isotopi radioattivi è la zona FAO 61.

Ci sono studi di scenziati autorevoli che affermano tutto ed il contrario di tutto circa gli effetti degli sversamenti in mare delle acque contaminate utilizzate per il raffreddamento del reattore nucleare di Fukushima.

Gli isotopi radioattivi coinvolti nell’incidente nucleare e rilasciati sia in mare che in atmosfera sarebbero:

  • Iodio 131;
  • Tellurio 129m;
  • Cesio 137;
  • Stronzio 90;
  • Plutonio.

Sino ad adesso comunque il tonno in scatola della grande distribuzione, qualunque sia la sua provenienza, non risulterebbe soggetto a contaminazioni radioattive accertate. Non sarebbe pertanto il caso di allarmarsi, anche se personalmente eviterei di mangiarlo per le motivazioni riportate alla chiusura dell’articolo.

Le catene di distribuzione ed i produttori di tonno in scatola (soprattutto pinne gialle) sostengono che i prodotti da loro commercializzati provengono dalla zona FAO 71, e non dalla 61, e che in alcuni casi questa zona può distare da Fukushima anche migliaia di kilometri.

Oltre al ruolo importante delle correnti oceaniche, c’è da aggiungere però che il tonno, come molte altre specie di pesci, è per sua natura un grande nuotatore e quindi non mi sorprenderebbe immaginarlo sguazzare nelle acque contaminate o magari nei pressi dell’isola di plastica nel pacifico (vedi approfondimento).

Ci sarebbe da fare una distinzione tra le varie specie di tonno, ma ad esempio il tonno rosso è capace di spostarsi in media ogni giorno di 100 miglia marine (circa 160Km) e può raggiungere di picco una velocità massima di 80 km/h. Basti pensare che ogni anno il tonno roso effettua incredibili migrazioni dal Nord Atlantico per venire a riprodursi nel Mediterraneo attraversando lo stretto di Gibilterra.

Ricordiamoci quindi che il tonno è libero di muoversi in tutte le zone e che questi numeri, 61 o 71 che siano,  sono solo delle linee tracciate dall’uomo su una cartina geografica che i pesci non sanno leggere.

Con questa questione del tonno radioattivo abbiamo però capito che anche i problemi di un luogo che si trova all’altra parte del mondo possono diventare facilmente i nostri problemi. Inoltre si apre un ulteriore interrogativo.

Ma il tonno del mediterraneo, il nostro tonno, che fine fa se noi mangiamo solo scatolette che vengono dal pacifico?

A quanto pare l’80% del tonno pescato nel mediterrraneo viene esportato e mangiato dai Giapponesi, perchè ritenuto di qualità eccezionalmente superiore ed ottimo per essere mangiato crudo in sushi e sashimi.

Non mi sembra normale che i giapponesi mangiano il nostro pesce e noi mangiamo il loro. Ma se ognuno mangiasse le proprie cose non sarebbe meglio per tutti, in particolare per noi? Adesso non staremmo certo a discutere se una scatoletta di tonno possa ucciderci oppure no.

E quindi invece di capire se quella spazzatura che ci fanno mangiare sia cancerogena o meno, cominciamo a chiedere ai nostri rivenditori il tonno italiano, il migliore. Ce l’abbiamo in casa. Godiamocelo.

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Autore: Giovanni Gasparri (Linkedin | Facebook)
Data di Pubblicazione  16 Febbraio 2014
Ultima Revisione: 16 Febbraio 2014

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