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Noi siamo ciò che mangiamo

L’era geologica in cui viviamo è denominata Età del Silicio, anche se la novità piu’ grande che distingue la nostra civiltà da quella dell’Età del Ferro è probabilmente la plastica e non il silicio. Questo perchè mentre il silicio è un elemento chimico presente in natura, le materie plastiche invece sono state interamente sintetizzare dall’uomo attraverso un processo evolutivo che è iniziato nel 1855 con la sintesi del rayon.

L’invenzione della plastica ha indubbiamente rivoluzionato positivamente le abitudini dell’Umanità, introducendo però anche alcune problematiche per la salute.

Ad esempio il Bisfenolo A, conosciuto anche come BPA, è un composto utilizato per sintetizzare alcune materie plastiche, come ad esempio il poliestere, il pvc, le resine epossidiche ed il policarbonato, e sembrerebbe essere coinvolto in numerose patologie della sfera sessuale di bambini ed adulti.

Il policarbonato, di cui il BPA è un componente chiave, è utilizzato per la produzione di tantissimi prodotti, tra i quali giocattoli per bambini, bottiglie, dispositivi medicali, lattine alimentari e tutti quei prodotti plastici in cui sono richieste qualità come trasparenza, durezza e resistenza.

Sono stati pubblicati più di cento studi sulle interazioni del BPA con il sistema endocrino ed alcuni, a partire dal 2008, avrebbero dimostrato la sua tossicità, gli effetti cancerogeni e neurotossici, incluso l’aumento del rischio di obesità. Alcune aziende hanno già eliminato il BPA dai biberon e dai giocattoli per bambini, tuttavia il monomero è largamente impiegato su scala industriale, tanto che è presente praticamente ovunque, anche negli shampoo.

Diversi studi avrebbero evidenziato che esponendo gatti e topi anche a bassi dosaggi di bpa si sarebbero riscontrati effetti come:

  • cambiamenti permanenti nei genitali;
  • cambiamenti nel tessuto mammario che predispongono le cellule all’azione degli ormoni e sostanze cancerogene;
  • effetti avversi sulla riproduzione e cancerogeni a lungo termine;
  • incremento del peso della prostata del 30%;
  • perdita di peso, riduzione dell a distanza ano-genitale in entrambi i sessi, segni di pubertà precoce;
  • diminuzione del testosterone nei testicoli;
  • cellule del seno predisposte al cancro;
  • cellule della prostata più sensibili agli ormoni e cancro;
  • diminuzione dei comportamenti materni;
  • inversione delle normali differenze sessuali nella struttura del cervello e comportamento (tendenza all’omosessualità);
  • disturbi nello sviluppo ovarico;
  • effetti avversi neurologici.

La cosa che dovrebbe farci riflettere è che il Bisfenolo A è in grado di attraversare il rivestimento in plastica di prodotti alimentari in scatola, specialmente se trattati con alte temperature o con sostanze acide (come l’acido citrico delle bevande gassate), è contaminare i cibi.

Secondo delle ricerche il 93% della popolazione mondiale avrebbe tracce di BPA nelle urine. Inoltre bere da bottiglie di policarbonato aumenterebbe del 66% i livelli di BPA nelle urine.

Le associazioni di consumatori raccomandano alle persone che vogliono ridurre l’esposizione al BPA di evitare gli alimenti in scatole di plastica o policarbonato. Invece il National Toxicology Panel raccomanda anche di evitare di mettere contenitori di plastica nei forni a microonde o di lavarli nelle lavastoviglie o utilizzando detergenti aggressivi.

Aveva ragione il filosofo hegeliano Feuerbach quando affermava che l’uomo è ciò che mangia.

Facciamo attenzione a cosa compriamo, a cosa mangiamo e ricordiamo sempre che quando gettiamo via rifiuti di plastica nell’ambiente in qualche modo tornano sul nostro piatto.

Ci torneranno prima o poi, anche se prima di farlo finiscono magari sull’isola di plastica nel Pacifico (leggi articolo di approfondimento dal titolo “Un’isola tra le onde”) e poi nello stomaco di qualche sventurato tonno (leggi articolo di approfondimento dal titolo “Tonno, olio e cesio radioattivo. Cosa c’`e di vero”) ripescato ed inscatolato.

PENSIAMO GLOBALMENTE,
AGIAMO LOCALMENTE!

Autore: Giovanni Gasparri (Linkedin | Facebook)
Data di Pubblicazione  1 Settembre 2014
Ultima Revisione: 1 Settembre 2014

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Frecce spezzate – di Roberto Vacca

Su gentile concessione dell’autore Roberto Vacca abbiamo il piacere di pubblicare integralmente l’articolo dal titolo “Frecce Spezzate” del 06/12/2013.

Roberto Vacca

Ing. Roberto Vacca, famoso scrittore, divulgatore scientifico, saggista e matematico

Al bando la bomba (nucleare)

Che probabilità ci sono che si verifichi una guerra casuale, provocata da guasti o errori umani? Nel silenzio generale, lancio un appello, di Roberto Vacca, SETTE Green, Corriere della Sera, 6/12/2013

Condanniamo chi uccide o maltratta un solo essere umano. Peggio se le vittime sono milioni, come accadde nell’ultimo secolo. Invece nessuno menziona le colpe di omissione di chi mette a rischio la vita di miliardi di umani. Noi tutti potremo essere distrutti senza preavviso da una guerra nucleare non premeditata, scatenata per caso, senza odio. Già nel 1959, nel suo libro La questione della difesa nazionale, Oskar Morgenstern, economista matematico, inventore con John von Neumann della teoria matematica dei giochi competitivi, scriveva: «Un giorno un’arma nucleare esploderà in modo puramente accidentale, senza alcuna connessione con piani militari. La mente umana non può costruire qualcosa che sia infallibile». Il rischio, secondo lo studioso, non era tanto quello di una guerra nucleare scatenata da guerrafondai perversi o folli, ma da malfunzionamenti tecnici casuali o da errori umani. Possibilità reale o eccessivo allarmismo? Certo è che nel 1971 Usa e Urss avevano ben presente il problema e firmarono un accordo per “ridurre il rischio dello scoppio di una guerra nucleare” che conteneva questa considerazione: «La stessa esistenza di armi nucleari, anche gestite con le più sofisticate procedure di comando e controllo, è ovviamente fonte di continua preoccupazione. Malgrado le precauzioni più elaborate, è concepibile che un guasto tecnico o un errore umano o un incidente frainteso o un’azione non autorizzata possa scatenare un disastro o una guerra nucleare». Così, nel 1978, la Marina statunitense coniò il termine “freccia spezzata” (broken arrow) proprio per definire lo scoppio di un’arma nucleare che non implichi il pericolo di scatenare una guerra oppure un incendio o la perdita o il furto di un’arma nucleare e definì “lampo nucleare” (nucflash) l’incidente che causi un’esplosione termonucleare “tale da creare il rischio di una guerra fra Stati Uniti e Unione Sovietica”. Da allora è certo che il rischio è aumentato: oggi gli arsenali nucleari contengono migliaia di radar, computer e armi (con potenze distruttive equivalenti a milioni di tonnellate di alto esplosivo) che rendono complicato gestire i sistemi tecnologici di monitoraggio, di controllo e di comando.

Numeri e Stime. Ma che probabilità ci sono che una guerra nucleare “casuale” si verifichi davvero? Calcolarlo è arduo anche se, da mezzo secolo, i governi di molti Paesi ci provano. Fatti e dati, però, rimangono segreti. Le stime dell’Ufficio dell’Esercito americano per lo sviluppo di armi speciali non sono credibili. Nel 1971 indicavano una probabilità annuale di 1 su 100.000 per lo scoppio accidentale di una bomba H e di 1 su 125 per l’esplosione di una bomba A. Anche le stime delle possibilità di fusione del nucleo e di disastri conseguenti fatte nel 1975 da Rasmussen, erano troppo ottimistiche. Il direttore del Dipartimento energia nucleare dell’Mit sosteneva che un incidente tale da causare 100 morti si sarebbe verificato ogni 10.000 anni e uno tale da causare più di 1000 morti ogni milione di anni: ma 11 anni dopo ci fu Chernobyl: 64 morti per lo scoppio e oltre 4000 per le radiazioni. Eppure, anche se nessuna arma nucleare americana, russa o di altri Paesi è mai esplosa, i militari statunitensi hanno riferito molti casi di bombe H danneggiate, bruciate o sganciate in mare o sul terreno (in North Carolina (1961), in Texas (1966), per esempio). Tre bombe H Mark 28 caddero a Palomares in Spagna dopo la collisione del B-52 che le portava a bordo con l’aereo cisterna che lo stava rifornendo di carburante. Gli americani dovettero disinquinare un’area di oltre due chilometri quadrati dove si era sparso plutonio. La quarta bomba cadde in mare e fu ripescata tre mesi dopo a 800 metri di profondità da una flotta con sottomarini e palombari. L’operazione costò 600 mila dollari.

La caduta della chiave inglese. Il 18 settembre 1980 a Damascus, Arkansas, un tecnico lasciò cadere una grossa chiave inglese dall’altezza di 20 metri mentre faceva manutenzione nel silo del missile Titan II, con testata nucleare da 9 megaton. L’urto contro il missile provocò una fuga di carburante. Poche ore dopo l’ossigeno liquido e il carburante del missile esplosero provocando un incendio enorme. La porta di cemento e acciaio del silo, che pesava 740 tonnellate, si sfondò. La testata nucleare del missile fu proiettata a 200 metri di distanza e poi ritrovata intatta. Fra il personale, un morto e 21 feriti. Il libro di Eric Schlosser, Command and Control (Penguin, 2013), descrive in dettaglio questo incidente, in sé non tanto significativo ma elencato come l’ultima “freccia spezzata” in una lista di 32 pubblicata nel 1981 dal Dipartimento della Difesa americana (vedi The Defense Monitor 1981, pubblicato dal Center for Defense Information, gestito da ex alti ufficiali americani). È sconcertante che la US Air Force avesse in precedenza pubblicato una lista più lunga: 94 incidenti ad armi nucleari accaduti dal 1950 al 1957. Ma le cifre, forse, sono superiori. Da mie ricerche in rete ho trovato 121 “frecce spezzate” dal 1950 al 2003. Da allora non sono menzionati altri incidenti. Due all’anno in media per 53 anni e poi nessuno per 10 anni! È plausibile che la censura blocchi le informazioni perché, se fossero rese note, proverebbero che il rischio è maggiore di quanto finora stimato. Oltre ai difetti dei sistemi d’arma, anche i sistemi radar di difesa hanno fallito varie volte in modo clamoroso. Il 9 Novembre 1979 il sistema radar americano Bmews (Ballistic Missile Early Warning System), mirato a individuare prontamente missili balistici sovietici, diede l’allarme di un attacco missilistico contro gli Stati Uniti. Iniziarono i preparativi di rappresaglia con missili intercontinentali e bombardieri. I satelliti, però, non confermarono l’allarme e poco dopo si capì che per errore era stato inserito nel sistema un nastro di prova con segnali che simulavano un attacco, normalmente usato per addestramento del personale. Il 26 settembre 1983 un radar sovietico segnalò in arrivo cinque missili nucleari americani. Il colonnello Stanislav Petrov, che comandava la stazione radar vicino a Mosca, avrebbe dovuto dare l’allarme e scatenare la risposta nucleare russa. Pensò che un attacco americano con soli cinque missili non fosse credibile. Se avessero voluto attaccare, ne avrebbero sparati centinaia. Segnalò che si trattava di un falso allarme. Fu processato da una corte marziale per non aver seguito le regole e fu assolto. Aveva salvato il mondo.

Olocausto nucleare. Fatti e dati, anche se contraddittori, dovrebbero stimolare una seria riflessione sull’eventualità di una guerra nucleare “casuale”. Eppure regna il silenzio, anche se oggi gli arsenali nucleari contengono 12.000 testate che hanno un potere distruttivo equivalente a 700 chilogrammi di alto esplosivo per ogni essere umano. Se esplodessero, distruggerebbero la maggior parte del mondo. Per evitare il rischio dell’olocausto nucleare scatenato per caso dovrebbero essere eliminate tutte le armi nucleari. Ma la diplomazia internazionale è troppo lenta, i capi spirituali di religioni e di movimenti distratti. Invito quindi a divulgare un nuovo manifesto “Ban the bomb” (No alla bomba) per coinvolgere (senza frontiere) università, aziende, operatori web, sponsor pubblici e privati, movimenti spirituali e culturali, agenzie e mezzi di comunicazione di massa. È urgente. È morale.

© Roberto Vacca, http://www.robertovacca.com, Tutti i diritti riservati.

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Tempesta solare scampata: e la prossima? – di Roberto Vacca

Su gentile concessione dell’autore Roberto Vacca abbiamo il piacere di pubblicare integralmente l’articolo dal titolo Tempesta solare scampata: e la prossima?” del 05/3/2012.

Roberto Vacca

Ing. Roberto Vacca, famoso scrittore, divulgatore scientifico, saggista e matematico

L’abbiamo scampata.

Il 23/1/2012 satelliti e stazioni a terra segnalarono in arrivo dal sole una tempesta di protoni: quelli con alta energia sono passati da 10 a 7500 per cm2 e per secondo [vedi diagramma]. Poi il flusso di protoni si è affievolito. Se fosse cresciuto molto, avremmo avuto disastri. Anche in Italia il cielo notturno si sarebbe colorato di verde, viola e rosso: aurore boreali che si vedono vicino ai poli. Poi sarebbe diventato rosso sangue. Grossi blackout ci avrebbero tolto l’elettricità. Le linee telefoniche e telegrafiche fuori uso avrebbero impedito gli interventi di emergenza. Ferrovie, gasdotti e oleodotti avrebbero subito danni gravi. Il blocco di reti e tecnologia nelle società più avanzate, prive di energia, potrebbe causare vittime a milioni.

Sono eventi, a decine di anni uno dall’altro, causati dal vento di protoni emessi dal sole: vanno a velocità fino a 7 milioni di km/h e arrivano a noi in circa 20 ore. Queste tempeste si chiamano CME: Coronal Mass Ejection: espulsione di massa dalla corona solare e proiettano miliardi di tonnellate di protoni. Non è fantascienza: SPECTRUM (la rivista degli ingegneri elettrici USA) questo mese dedica all’argomento un lungo articolo.

I protoni seguono traiettorie elicoidali. Le CME più intense producono campi magnetici giganti interagenti con la magnetosfera terrestre. Quindi correnti elettriche molto intense fluiscono nell’aria della stratosfera che a 50 km di quota è un buon conduttore. La tempesta geomagnetica induce sulla superficie terrestre forti correnti elettriche che passano nel terreno, nelle reti elettriche ad alta tensione, nelle tubazioni, nelle rotaie, nei cavi sottomarini. In conseguenza le reti vanno fuori servizio. Sono più a rischio le centrali elettronucleari: senza energia elettrica dalla rete non possono raffreddare i nuclei che possono fondere. In Europa, USA, Cina si potrebbero avere decine di disastri tipo Fukushima.

È meno tragico, ma molto spiacevole, il rischio di fusione degli avvolgimenti dei grandi trasformatori ad altissima tensione (765 kV in USA, 1000 kV in Cina). Ogni unità pesa 200 tonnellate e costa più di 10 milioni di euro. Non sono tenuti a magazzino e la produzione richiede molti mesi.

Anche i terroristi potrebbero farne saltare alcuni, ma un CME ne distruggerebbe decine bloccando per anni l’energia di continenti. I trasformatori si possono proteggere installando condensatori sulla messa a terra del neutro e bypassandoli con tubi elettronici per scaricare a terra le sovracorrenti alternate.

Queste tecniche, però, non sono state sperimentate in pratica. I CME sono rari. Nel 1859 il più grave, negli Stati Uniti fu preceduto da aurore boreali e cielo rosso a basse latitudini. A quel tempo non esistevano reti elettriche, ma andarono distrutte molte linee telegrafiche.

Un altro CME nel 1921 bloccò telefoni e telegrafi in Svezia e negli Stati Uniti e mise fuori servizio i sistemi di scambi e segnali della Ferrovia Centrale di New York. Le reti elettriche di energia, poco estese all’epoca, non subirono danni gravi. Nel 1989 i cieli colorati da un CME furono interpretati come lo scoppio di una guerra nucleare, ma in Canada ci fu un blackout di un giorno che lasciò senza energia elettrica tutto il Quebec.

Qualche giorno fa Pete Riley della Predictive Science di San Diego (un centro di ricerca sponsorizzato dalla NASA e dalla National Science Foundation – vedi: www.predscience.com/portal/home.php/) ha pubblicato suoi calcoli secondo i quali ci sarebbe una probabilità del 12,5 % che entro il 2020 si verifichi una Coronal Mass Ejection. L’affermazione sembra azzardata – ma il centro di Riley sembra affidabile.

Giornali, televisioni, politici e politologi non parlano dei rischi dovuti agli arsenali nucleari, né di questi – meno letali, ma significativi. Dovrebbero farlo.

© Roberto Vacca, http://www.robertovacca.com, Tutti i diritti riservati.

Flusso di protoni dal sole il 24/1/2012 – Fonte: Space Weather Prediction Center, NOAA

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Diario sui robot di Fukushima – di Roberto Vacca

Su gentile concessione dell’autore Roberto Vacca abbiamo il piacere di pubblicare integralmente l’articolo dal titolo “Diario sui robot di Fukushima” del 10/6/2012.

Roberto Vacca

Ing. Roberto Vacca, famoso scrittore, divulgatore scientifico, saggista e matematico

A monte del disastro della centrale nucleare di Fukushima dell’11 Marzo
2011, erano mancate difese adeguate. La rete elettrica giapponese era divisa in due parti a frequenze diverse (50 Hz e 60Hz) fra le quali un convertitore di frequenza poteva (e può) trasmettere solo l’uno percento della potenza generata.

La scelta della località della centrale era stata disastrosa: pericolo di tsunami di
40 metri un paio di volte al secolo e difese contro il mare del tutto inadeguate.
Avvenuto il disastro, i tecnici non potevano entrare nelle centrali per non subire
gli effetti di radiazioni nucleari pericolose. Si poteva rimediare facendo entrare
nei fabbricati robot radiocomandati muniti di telecamere. Quelli giapponesi,
però, avevano telecamere inadatte a funzionare in presenza di radiazioni.
Una settimana dopo il maremoto, il costruttore americano iRobot mise
gratuitamente a disposizione due piccoli robot Packbot e due più grandi robot
Warrior 710 muniti anche di braccia meccaniche per rimuovere detriti e rottami e manipolare oggetti.
I tecnici giapponesi dovettero essere addestrati a usarli.
L’impiego pratico potè iniziare solo un mese dopo il disastro. I robot erano
muniti di 5 telecamere di cui una a raggi infrarossi, di un dosimetro, un
analizzatore di particelle e uno dei tassi di ossigeno, idrogeno e gas organici.
Ogni robot ha un ricevitore GPS in modo che la sua posizione viene determinata
esattamente quando è all’esterno. Dentro i fabbricati, la posizione viene calcolata o stimata dalle immagini delle telecamere.
Le difficoltà incontrate erano documentate (tra aprile e luglio 2011) dal
diario di un operatore giapponese, noto solo con lesue iniziali S.H.

I diari erano intitolati “Dico tutto quel che voglio”. Le note di S.H. sono state scaricate da Web (prima che fossero cancellate) da un redattore del mensile SPECTRUM dell’Institute of Electrical and Electronics Engineers.

Ne risultano situazioni gravi e critiche. S.H. racconta che dopo una lunga operazione in cui aveva dovuto avvicinarsi molto al robot (data la scarsa portata della connessione radio) l’allarme del dosimetro che misurava il livello di radiazioni che aveva assorbito cominciò a suonare.

Il suo supervisore gli disse che il dosimetro era difettoso e che continuasse a lavorare.
I robot americani con telecamera entrarono nel fabbricato della centrale
N°1 il 3 giugno (84 giorni dopo il terremoto).
Due diverse aziende, sotto contratto con la TEPCO (Tokyo Electric Power
Company, proprietaria della centrale) gestivano un robot ciascuna. A metà
maggio S.H. riferisce:

“Continuiamo l’addestramento. È disagevole manovrare i robot attraverso le porte doppie, sui pianerottoli e poi farli salire ai piani superiori mandandoli in retromarcia. Lo stress di noi operatori è notevole.”

“Il 19 maggio la Prefettura di Fukushima ordina di interrompere le operazioni. Il morale degli operatori è a zero. Ci occupiamo con qualche lavoro di manutenzione non urgenti e ci accorgiamo che i robot presentano già segni di usura, sebbene siano robusti modelli militari.”

“30 Maggio – stamattina ho trovato il bagno occupato da uno sconosciuto ubriaco che si era addormentato per terra.”

“31 maggio – Tre operatori hanno completato l’addestramento con i robot. Principalmente hanno imparato a farli andare su e giù per le scale. Se c’è bisogno di noi potremo andare a fare il nostro lavoro ovunque nel mondo.”

“1 Giugno – ho letto le dichiarazioni ufficiali del governo. Mi pare che sottovalutino la gravità della situazione.”

“3 Giugno – I robot sono entrati nel reattore N°1. Abbiamo usato telecamere e controllo radio. Il livello delle radiazioni è di 60 milliSievert/ora, ma ho trovato un punto caldo in cui raggiungeva 4 Sievert/ora.”

“I cingoli dei robot slittano sui pavimenti e incontrano difficoltà con gli ammassi di detriti.”

“15 Giugno – Usiamo Ethernet per le comunicazioni e abbiamo collegato un cavo per LAN (Local Area Network). Il robot ne ha steso 45 metri. Poi ci siamo fermati perché il cavo non ha un riavvolgitore automatico”

“16 Giugno – comincio a usare i robot grandi Warrior che possono sollevare anche 250 kg.”

“19 giugno – molti operatori dovevano avere un giorno di riposo o sottoporsi a test medici, ma un funzionario governativo ha deciso che non c’era tempo per queste cose e che dovevano avere un altro giorno di addestramento.”

“20 giugno – problemi con la stabilità dei robot Warrior: l’aderenza è diversa nel cingolo destro e in quello sinistro, occorre molta cura perché sulle scale non ruotino su se stessi”

“23 giugno – usiamo i PackBot in un’area ove è alto il livello delle radiazioni. Un primo robot trasmette i segnali via radio al secondo che è connesso con noi via Ethernet. Il cavo Ethernet è segnalato con coni bianchi e rossi, ma la direzione ha mandato un camion da 4 tonnellate che ha rimosso i coni ed è passato varie volte sul cavo che per fortuna non si è rotto – se si fosse rotto i due robot sarebbero rimasti inutilizzati nell’area ad alte radiazioni. “

Solo dopo il 23 Giugno arrivarono alcuni moderni robot giapponesi Quince. Erano modelli in cui i circuiti integrati erano vulnerabili alle radiazioni e
avevano dovuto essere schermati opportunamente. Nell’ottobre 2011 uno di
questi tranciò il proprio cavo e dovette essere abbandonato. I Quince, come i
Warrior, sono progettati per uso in caso di disastri, ma nessuno di questi è adatto a trasportare feriti o disabilitati.

“3 luglio 2011 – i Packbot hanno misurato le radiazioni al primo piano del reattore N°3 che era stato decontaminato ieri dai robot Warrior. I livelli di radiazione sono diminuiti del 10%. In alcuni punti il livello è di 80 Sv/h.”

Come si vede, la preparazione all’emergenza era inadeguata a Fukushima.
La Gestione Totale della Qualità (Total Quality Management) avrebbe dovuto imporre la presenza di apparati e strumenti adatti a funzionare in condizioni estreme (alte radiazioni) e di personale già addestrato.

Sul lungo termine, le strategie energetiche e i problemi di sicurezza non si
risolvono con discorsi (anche se “paiono assai fondati”), né su principi
ideologici, né su astratti principi di precauzione.

Dobbiamo analizzare i fatti, studiare, addestrare tecnici eccellenti, finanziare ricerca e scuole avanzate.

© Roberto Vacca, http://www.robertovacca.com, Tutti i diritti riservati.

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Energia nucleare: rischi, analisi, decisioni – di Roberto Vacca

Su gentile concessione dell’autore Roberto Vacca abbiamo il piacere di pubblicare integralmente l’articolo dal titolo Energia nucleare: rischi, analisi, decisioni del 18/6/2012.

Roberto Vacca

Ing. Roberto Vacca, famoso scrittore, divulgatore scientifico, saggista e matematico

“TEKENO ALTAI”
“No alla riaccensione”

Cantavano in coro i dimostranti nella Prefettura di Fukui nel Giappone occidentale non lontano da Kyoto. Li abbiamo visti nei telegiornali di oggi. Protestavano contro la decisione annunciata dal Primo Ministro Noda di rimettere in funzione a Ohi due grandi centrali elettronucleari della potenza complessiva di 2350 MegaWatt.

Non ci sono piani per far ripartire le altre 48 centrali nucleari giapponesi spente dopo il disastro di Fukushima. La situazione energetica del Giappone è critica. Si attendono severe limitazioni all’uso dell’aria condizionata – così essenziale per assicurare benessere e produttività dei giapponesi. Curiosamente anticipò che il Giappone sarebbe diventato una potenza dominatrice, se avesse avuto l’aria condizionata S.F. Markham. Era un meteorologo e parlamentare inglese. Nel suo libro del 1942 (“Climate and the Energy of Nations”) sosteneva che hanno dominato vaste aree del mondo proprio i Paesi fioriti fra le isoterme tra 16°C e 24°C oppure capaci di regolare il clima del loro habitat.

Per quanto tengano all’aria condizionata, molti giapponesi sono restii a sfruttare l’energia nucleare per assicurarsela. Ci sono 11 città nel raggio di 30 kilometri dalle centrali di Ohi. I sindaci di 8 di queste si sono opposti alla riaccensione. Anche questa zona è sismica: una faglia importante è molto vicina a Ohi. Il sindaco di Maizuzu, Ryoto Tatami, ha detto: “Gli standard di sicurezza attuali non sono stati ancora definiti in base alle analisi del disastri di Fukushima.” Toyojo Terao, sindaco di Kyotamba, ha accusato il governo di non aver nemmeno analizzato a fondo la situazione dell’offerta e della domanda di energia del Paese.

Parti significative dell’ingegneria della sicurezza e dell’analisi dei rischi tecnologici sono state elaborate proprio dagli ingegneri nucleari. È paradossale che incidenti gravi di centrali nucleari siano avvenuti a causa di trasgressioni evitabili solo in base al senso comune. Chernobyl fu causato da sprovveduti ingegneri elettrotecnici che in assenza di veri esperti tentarono un esperimento temerario e assurdo. Fukushima è avvenuto perchè la centrale era sorta in zona sismica, soggetta notoriamente a tsunami di decine di metri ed era stata protetta da un muro di soli 8 metri.

Come dice un’antica massima: “Si perse un chiodo e il cavallo perse un ferro. Si perse il cavallo e non arrivò mai il messaggero, così si perse la battaglia e si perse la guerra e si perse l’impero.”

I progettisti e i tecnici più esperti devono eccellere nell’alta tecnologia, ma devono anche possedere immaginazione vivace e infinito buon senso. Devono anche essere aiutati da collaboratori, aiutanti e decisori di grande classe.

Queste doti sono essenziali anche per l’analisi d guasti e disastri. Dopo il fallimento di un’impresa, la malfunzione estrema di un sistema tecnologico, di una macchina importante o di un’organizzazione, vengono ingaggiati esperti per capire cause, concause, errori, incompetenze – e per suggerire come evitare eventi negativi simili in avvenire. Questa attività si chiama “autopsia” (in inglese o latino britannico: post-portem o PM).

Dopo l’incidente della centrale nucleare di Three Mile Island (28/3/1979) una commissione dell’Institute of Electrical and Electronics Engineers (IEEE) fece l’autopsia degli eventi – seguiti minuto per minuto – e pubblicò i risultati sul mensile SPECTRUM nel Novembre 1979 (8 mesi dopo). È una lettura istruttiva: evidenzia errori umani e deficienze di hardware.

Molto istruttiva anche l’analisi, pubblicata sullo stesso numero di SPECTRUM, delle caratteristiche, della posizione e del livello di sicurezza delle 72 centrali nucleari all’epoca in funzione in USA. I giudizi erano fattuali e severi. Riguardavano: management, competenza del personal tecnico, sismicità, livello e tempestività della manutenzione. Il giudizio in un caso critico diceva:

“La sicurezza è scarsa a causa dell’atteggiamento marginale del management e dei controlli inadeguati che esso esercita.. Il management non riesce a eliminare errori e incuria dei tecnici. La selezione del personale è criticabile e i rapporti sindacali sono cattivi. I problemi del management sono aggravati dalle dimensioni enormi dell’azienda. La sicurezza è degradata per scarso rispetto delle specifiche tecniche e delle procedure amministrative e relative alle emergenze.”

Questi giudizi recisi ebbero l’effetto di migliorare notevolmente la situazione. È comprensibile che sterzate positive nella realizzazione e nella conduzione di grandi strutture tecnologiche vengano operate dopo un disastro che faccia molto rumore. Nel caso delle centrali nucleari i rischio sono alti – ma lo sono anche in altri campi e settori. (Nel mondo 1.200.000 persone muoiono ogni anno in incidenti di traffico). Bisogna ricorrere alla Gestione Globale della Qualità: una disciplina onerosa da praticare. Molti non ne conoscono nemmeno l’esistenza. Anche ove sia perseguita seriamente, non riesce ad azzerare ogni rischio. Il mondo è complicato. In certa misura è migliorabile, ma bisogna studiare e impegnarsi per migliorarlo.

© Roberto Vacca, http://www.robertovacca.com, Tutti i diritti riservati.

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